Articolo di MARCO VIGNOLA
Pubblicato il 13.11.2019; tutti i diritti riservati.
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In ambito ricostruttivo e accademico, una vexata quaestio ricorrente è quella della finitura superficiale delle armature: ovvero, se queste venissero effettivamente lucidate “a specchio” o se ci si limitasse ad un trattamento meno radicale, con la permanenza di chiazze e un aspetto meno riflettente.

In un simile campo, è necessario premetterlo, la prudenza è d’obbligo, perché tra tutte le tappe produttive la lucidatura ha lasciato le tracce più labili in assoluto. Mentre le geometrie dei pezzi meglio conservati sono rimaste immutate (coi segni del maglio ancora impressi all’interno delle piastre) e i processi di tempra sono identificabili con precise analisi di laboratorio, la superficie del metallo non ha invece avuto analoga fortuna. Lasciando da parte i manufatti di scavo, logicamente deteriorati dalla giacitura, le stesse armature di arsenale hanno scontato secoli d’esposizione agli agenti atmosferici, con una manutenzione costante che ne ha modificato in maniera più o meno radicale l’aspetto: sicuramente in forma più elusiva rispetto ai manufatti archeologici e perciò quasi più insidiosa.

Quando una piastra si presenta oggi lucida, ma con macchie scure più o meno diffuse, come possiamo dunque capire se tali macchie siano il “fossile” di una corrosione poi rimossa o piuttosto un resto originale di calamina, residuo del processo produttivo? Per chi abbia pratica dei manufatti antichi, la somiglianza di queste tracce risulta evidente e foriera di fraintendimenti.
In questo senso, la migliore e non rara iconografia che ritrae realisticamente la lucidatura delle piastre (per una rassegna, CLICCA QUI), non sembra conservare evidenza di questi eventuali chiazze di calamina, alimentando il sospetto che, almeno nella produzione di livello medio-alto, i residui di lavorazione venissero puntigliosamente epurati o comunque rimossi fino al punto da non essere apprezzabili, se non ad un esame molto ravvicinato.

FRANCESCO PAGANO, Polittico di San Michele, 1492 c., Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

FRANCESCO PAGANO, Polittico di San Michele, 1492 c., Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli (fonte: Google Art)

Per quanto concerne la Milano del Quattrocento, sappiamo infatti che una schiera di artigiani si dedicava esclusivamente alla “molatura” e alla nettatura delle armature, che venivano loro consegnate dagli armorari in cambio di compensi stabiliti, come dimostrano due accordi stilati il 2 gennaio 1455 e il 31 luglio 1464 rispettivamente tra 20 e 25 magistri et amoratores et traversatores armorum civitatis et ducatus Mediolani, volti appunto a fissare un prezzario comune e condiviso per la loro prestazione professionale. Non si trattava ancora della formazione di un vero e proprio paratico, attestato in alcuni rogiti solo a partire dal 1476, ma piuttosto di alcuni passi ad esso preliminari, che però risultano molto interessanti per comprendere le dinamiche dell’arte.

In particolare, nel 1455 gli aderenti a questa “società” s’impegnavano a rinunciare a qualunque concorrenza sleale, non costruendo nuove traversere e non tenendo più di una traversera per volta, chiudendo persino le porte in faccia agli armaioli morosi con qualche altro sottoscrittore dell’accordo. Si stabiliva quindi un tariffario minimo al quale tutti dovevano attenersi, nella seguente misura:

– per una corazia (qui sicuramente designante un petto-schiena in piastre), XXVI soldi imperiali

– per un paio di arnexia saldarum (difesa per la coscia ed il ginocchio), XX soldi

– per un paio di brazalium saldarum (difese per le braccia in piastra), XI soldi

– per un paio di spalaziarum saldarum (spallacci in piastre), XII soldi

– per un paio di guanti in piastra, V soldi

– per un elmetto, XX soldi

– per una celata con visiera, VII soldi

– per una celata “da cavallo” (incerta la differenza con la precedente), VII soldi

– per una celata ab oculis (forse corrispondente alla tipologia “alla corinzia”), VIII soldi

PEDRO BERRUGUETE, Ritratto di Federico da Montefeltro con Guidobaldo bambino, 1476-1477 c., Galleria Nazionale delle Marche, Urbino

PEDRO BERRUGUETE, Ritratto di Federico da Montefeltro con Guidobaldo bambino, 1476-1477 c., Galleria Nazionale delle Marche, Urbino (foto di Andrea Carloni – Rimini)

Quello che emerge in filigrana a queste carte, pertanto, è l’esistenza di un nucleo consistente di professionisti, i traversatori, che intervenivano in una fase terminale della produzione delle difese in piastra come imprenditori-artigiani autonomi rispetto agli armorari, in grado di dialogare con loro da una posizione di forza.

Nonostante le qualità meccaniche e le geometrie fondamentali dei pezzi venissero decisi a monte del loro intervento, l’importanza del loro ruolo nella filiera produttiva non deve a mio avviso essere sottovalutata. La loro maestria nel trattare la superficie del metallo sarebbe infatti apparsa evidente al compratore ancor prima delle qualità intrinseche del pezzo, aggiungendo molto all’appeal estetico del prodotto commercializzato.

Per quanto concerne le attrezzature da loro impiegate nel “mestiere”, sappiamo come già nella prima metà del Quattrocento a Milano si impiegassero mulini idraulici collegati a mole, per una nettatura ben più rapida della tradizionale pulizia manuale su panca, tramandata in numerose miniature del “Mendelschen Hausbuch” di Norimberga (segue immagine) e probabilmente mai scomparsa del tutto.

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 17 recto (Mendel I), 1425c

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 17 recto, Mendel I, 1425c (fonte: www.hausbuecher.nuernberg.de)

In una fase di grave penuria di farina, una grida della Repubblica Ambrosiana del 14 maggio 1447 imponeva infatti che entro otto giorni e per quattro miglia intorno alla città si levassero dalle traversere tutte le mole impiegate per le armi o i magli per la carta, adottando quelle atte alla macinazione del grano: segno inequivocabile di un processo meccanizzato già a quella data, in apparente anticipo rispetto all’area tedesca; la prima miniatura dell’Hausbuch che rimandi all’uso di mole idrauliche risale al 1523 (segue immagine).

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 138 recto (Mendel I), 1523

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 138 recto, Mendel I, 1523 (fonte: www.hausbuecher.nuernberg.de)

Non è dato purtroppo di sapere se alla fase di molatura meccanica seguisse un ultimo intervento manuale “di fino”, perché a quanto pare il “traversatore” si occupava non solo delle fasi precoci della pulitura, con la rimozione del nero di forgia, ma anche della manutenzione dei pezzi già finiti, che richiedeva un approccio meno energico rispetto alla nettatura iniziale. Tra le materie accessorie impiegate nella lavorazione delle armature dobbiamo infatti ricordare lo smeriglio, pesto buono e finissimo di Milano “che tagli bene” per lucidare; smeriglio che da Milano veniva esportato e che la bottega avignonese di Francesco di Marco Datini tra fine Trecento e inizio Quattrocento vendeva anche a traversatori e maestri armaioli locali e della regione avignonese. E’ dunque verosimile (pur restando nel campo delle ipotesi) che la prima sgrossatura venisse realizzata con una o più mole di grana differente, per completare l’opera con una smerigliatura manuale.

L’utilizzo dello stesso lemma “traversare” anche per lavori di semplice manutenzione, eseguiti verosimilmente a smeriglio, è comunque ben chiaro in una lettera inviata da Antonio Missaglia al Duca di Milano il 15 gennaio 1474, nella quale rispondeva agli ordini di Galeazzo Maria circa la munizione del castello di Pavia, ove si conservavano almeno 500 armature da uomo d’arme e molte corazzine:

«…Cum grande devotione ho recevuto le vostre littere de di XIIII° del presente, per la quale vostra signoria me scrive ch’io venga a Pavia cum lingenierii necessarii, per che vostra signoria se delibera chel se faci la traversera per tenere polite larme de la vostra munitione. Unde aviso vostra signoria che ho trovato el magistro de la traversera amalato in una gamba per modo chel dice de presente non poter venire, nec altri magistri da traversera non se trova in questa parte…».

La connessione tra la pulizia delle armature e la “traversatura” di pezzi già finiti e depositati nell’arsenale è qui molto evidente, come appare anche del tutto chiara la volontà di preservare immacolata la munizione ducale. L’enfasi sul mantenimento estetico delle armature, d’altro canto, emerge anche in una precedente missiva del 29 novembre 1472, dove si legge con quanta sollecitudine si operasse perché la ruggine non rischiasse di “macchiare” (maculare) le armature:

«….In questi di passati jo andai a Pavia per vedere se a quello fondicho novo era datto principio de fornirlo secundo se richiede per conservacione de le armature che se hanno a repponere dentro, che serano armature cinquecento da battagla. Et conferendo cum el conte Zoanno, non trovandoli essere datto principio alcuno, me respose che aspectava certa risposta da Iacobo Alphero, et havita farebe tale spazamento in fornire dicto fondicho et quello bissogna per la torre, che vestra celsitudine remanerebe satisfacta. Al presente, essendo venuto qui a Mediolano et deliberando de andare a vedere se alcuno principio era facto per repparare, che tanto digna monitione non se venisse a maculare, ho inteso como el dicto conte Zohanne ha avuto el modo da vestra excelentia de fare le provisione oportune, si de lo fondicho novo como de la torre, secondo lo disegno facto per lo inzegnero, che stato la per dicta ragione cum Antonio del Missalia…».

Lo stesso Missaglia, dunque, era stato chiamato in veste di tecnico per adottare tutti i provvedimenti necessari alla conservazione di un arsenale prezioso non soltanto sul campo di battaglia, ma parimenti per il prestigio del Ducato: perché una munizione così degna “non venisse a maculare”, con sgradite chiazze di ruggine.

Un dettaglio raro ed inconsueto circa la traversatura è infine tramandato da un esempio rarissimo di superficie originale rimasta chiaramente intoccata per oltre 5 secoli, ovvero una porzione di elmetto da uomo d’arme facente parte del complesso delle Grazie di Curtatone (elmetto B4). Come racconta il Boccia, una volta rimosso il frontale per l’intervento conservativo, è infatti emersa sotto la piastra una sezione non ossidata, che ancora conservava l’originale finitura scintillante (segue immagine).

Tratto da: G. L. BOCCIA, "Le armature di S. Maria delle Grazie di Curtatone di Mantova e l'armatura lombarda del '400", Bramante Editrice, Busto Arsizio, 1982 (tav. XX)

Tratto da: G. L. BOCCIA, Le armature di S. Maria delle Grazie di Curtatone di Mantova e l’armatura lombarda del ‘400, Bramante Editrice, Busto Arsizio, 1982 (tav. XX)

Oltre a confortare l’accuratezza della migliore iconografia in merito ad una finitura “a specchio”, questo dettaglio dimostra inoltre come il traversatore operasse su pezzi smontati e il riassemblaggio finale fosse a carico dell’armaiolo, che li riprendeva in consegna dopo il trattamento.

In estrema sintesi, tornando alla vexata quaestio iniziale, iconografia e tracce materiali sembrano convergere sull’ipotesi che le armature milanesi del Quattrocento ricevessero una lucidatura a specchio, eseguita da un gruppo di artigiani specializzati proprio in questo step specifico della produzione armiera e non dagli armorari. Se questa venisse applicata all’intera gamma di prodotti o se piuttosto si limitasse a quelli di maggior pregio, resta tuttavia un quesito ancora aperto.

L’attenzione con la quale si operava perché la munizione ducale non si macchiasse e per mantenerla in buone condizioni estetiche, dimostrerebbe inoltre come tali macchie non fossero affatto viste come un blando inestetismo, ma piuttosto come un difetto da esorcizzare con ogni cura. Ben poco plausibile, pertanto, che gli armaioli milanesi accettassero di commercializzare prodotti con palesi segni esterni di calamina (per l’interno delle piastre, ovviamente, non esisteva questa cura), i quali ne avrebbero diminuito il pregio agli occhi dell’acquirente. Mentre le leggere asimmetrie di ogni manufatto antico non venivano percepite come fattore invalidante (sono ancora oggi riscontrabili anche sui pezzi di maggior pregio), le macchie di ruggine o i residui di lavorazione sarebbero invece apparsi solo come “macule” da consegnare alle sollecite cure di un traversatore e forse tollerate soltanto nella produzione più corrente…ma quella dei pezzi “da munizione” è tutta un’altra storia.

Per i dettagli bibliografici di questo contributo, che ne rappresenta una sintesi ragionata, si veda VIGNOLA M. 2017, Armature e armorari nella Milano medievale, Alessandria (CLICCA QUI).

Vi proponiamo di seguito la scheda di un manufatto di qualità museale, appena ultimato, che sarà principalmente impiegato durante i nostri mercati didattico-dimostrativi “itineranti” e nella bottega stanziale del merciaio che gestiamo presso il borgo medievale di Zuccarello, in provincia di Savona (CLICCA QUI per ulteriori informazioni).

Misure
50 (L) x 23,5 (P) x 17,5 (H) cm

Materiale di fondazione
Legno di noce di lunga stagionatura, reperito dallo smantellamento di un vecchio mobile di fine 1800/inizi 1900.

Ferramenta
Le bandellature e gli angolari in ferro battuto, disposti lungo i quattro lati e sul coperchio, trovano corrispondenza in due esemplari italiani di metà XV sec: i motivi a giglio sono direttamente tratti da una cassetta di area settentrionale, esposta presso le “Civiche Raccolte d’Arte Applicata” del Museo Sforzesco di Milano, mentre le maniglie richiamano lo scrigno recante gli stemmi Bentivoglio-Sforza, di manifattura bolognese, conservato al Museo Civico Medievale di Bologna (inv. 1983).

Serratura
Si tratta della replica di un originale bresciano del pieno XV sec, facente parte della collezione privata di Valentino Mazzoni, mastro serraturiere di Finale Emilia.

Battente
Abbiamo optato per foggia asimmetrica e terminale a ricciolo perchè piuttosto frequenti in cofanetti centro-europei del Quattrocento: a titolo non esaustivo, si possono citare due manufatti presso il Germanisches Nationalmuseum di Norimberga (inv. HG292, HG300) ed uno presso il Museo Bagatti Valsecchi di Milano (inv. 596).

Chiave
Ricostruzione di un originale di bottega veneta di fine XV-inizi XVI secolo, con tipico piccagnolo circolare e impugnatura rotonda “a rosone”, esposto al Museo “Luigi Bailo” di Treviso (inv. F1192).

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Ringraziamenti
Il merito del lavoro va sicuramente all’abilissimo artigiano CLAUDIO CIOLI di Rimini (per contatti: cli.cld@libero.it), che ha saputo assecondare ogni indicazione con estrema precisione.
Ci sentiamo debitori anche verso l’amico Valentino Mazzoni, mastro serraturiere di Finale Emilia, per le preziose informazioni e gli scatti forniti relativamente a serrature e chiavi della propria collezione.
Non possiamo tralasciare, infine, la curatrice dello Sforzesco, Dott.ssa Valentina Ricetti, per la gentile concessione delle immagini del pezzo di studio citato per la ferramenta, appositamente realizzati su nostra richiesta.


Articolo di ANDREA CARLONI (2019)

Articolo di MARCO VIGNOLA
Pubblicato il 09.07.2019; tutti i diritti riservati.
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Uno dei rischi del riordino archivistico “per materia” imposto a Milano da Luca Peroni tra fine Settecento e primo Ottocento, fu la dispersione di preziose serie documentarie, dalle quali le carte venivano estratte senza alcun rimando alla posizione originale per essere organizzate più comodamente “per materia”.

Se questo principio semplificò la vita ai ricercatori, i quali si trovarono una messe di materiale suddiviso secondo categorie d’interesse, il danno fu evidente quando molte di queste carte, sottratte al registro o alla filza di pertinenza, furono private del loro contesto e della loro data, restando a “galleggiare” in mezzo ad altri documenti della più diversa provenienza.

E’ questo il caso dell’interessante rapporto di servizio redatto da un caposquadra di balestrieri, un certo “Conte de Turpia” nella seconda metà del XV secolo (datazione desumibile paleograficamente), che si sarebbe rivelato ben più prezioso se inserito nel suo giusto contesto, con una precisa collocazione geografica e cronologica ricavata dalle carte vicine.

Anche così, sebbene menomata del suo vincolo archivistico, questa pagina ci regala tuttavia un raro spaccato della vita quotidiana di una guarnigione, fatta anche di piccole beghe ed insubordinazioni. Colpisce, in particolare, una certa disinvoltura dei sottoposti nel disattendere le indicazioni del superiore, anche quando si fosse trattato di semplici suggerimenti di “buonsenso”, come non mettere “soto il culo” una brigantina giocando a carte, rischiando solo di rovinarla inutilmente. Persino un permesso negato poteva finire “a bestemmie”, profuse con una certa creatività non solo contro Dio e la Vergine Maria, ma pure contro una vasta platea di santi.
Alcune frasi risultano non del tutto chiare e sono probabilmente da riferirsi a detti proverbiali (“… se lasorno furare le spade de la guardia… sape fare tagliare apeze…”), ma il documento illustra comunque la riottosità di alcuni soldati e la dubbia autorità di un caposquadra nell’imporre qualche parvenza di disciplina.

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Archivio di Stato di Milano, Autografi 231, fasc. 6.

Per che il vostro fedele il Conte de Turpia, capo di squadra de balastreri, he1 deputato ala guardia de la corte.
Primo, perché haveria comandato a Zorzo de Bayvera che voleva che dormisse in corte et che non andasse adormire fora de la corte, et alora il dicto Georgio comenzò a cridare cum il dicto Conte et per quelo se alomenta deli facti suoi.
Donixio2 de Melegnano tolse zoxo una corazina et la misse soto il culo per iocare ale carte et dicto Conte lo represe che non faceva bene; et il dicto Dionixio gli risposte3 che non lo obederìa.
Maza lo hoste balastrere domando licentia al dicto conte de andare acaxa et luy gli rispose che havesse patientia, che non erano anchora doy dì che il capitaneo era andato via; et luy comenzò ad biastemare Dio et la Verginemaria et quanti sancti trovava et dicto Conte non gli disse altro non ma che non gli potete tanto reprendere, che se lasorno furare le spade de la guardia.
Bernardino balestrero, venendo da Parma, tolse uno axino et sape fare tagliare apeze lo dicto Conte et li conpagni.
Et Georgio Albevexio del la Tacha et il Fra de Papia sono informati dele differentie quale sono facte.

1, 2, 3:  Così nel testo

Articolo di MARCO VIGNOLA
Pubblicato il 01.06.2019; tutti i diritti riservati.
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Sullo scenario bellico del secondo Quattrocento italiano, la parte “del leone” fu senza dubbio giocata dalle grandi condotte di personaggi famosi, contese a peso d’oro dalle Signorie in continuo attrito dopo l’effimera “Pace di Lodi” (1454). Molto più in ombra e quasi relegato ad un impalpabile sottobosco documentario è invece il ruolo dei piccoli drappelli di soldati di ventura, non inquadrati in ampie condotte ma egualmente alla ricerca di un impiego, in continuo movimento da un potente all’altro per inseguire il miraggio di una “paga”.

Il documento oggetto di questo intervento, privo di datazione ma non avaro d’indizi per collocarlo cronologicamente, ha il merito di aprire una finestra su questa storia minuta e quotidiana, lontana dalle fanfare dei celebri condottieri, ma vicina alla vita di tutti i giorni più del fasto delle corti.

Se in un documento precedente (CLICCA QUI) abbiamo visto come a Genova giungessero schioppi da Norimberga, nella stessa città  ritroviamo alcuni schioppettieri tedeschi di Colonia, veterani delle guerre contro gli Svizzeri di Carlo il Temerario e scesi in Italia per inseguire un nuovo ingaggio dopo la morte del Duca nella battaglia di Nancy (5 gennaio 1477). Costoro, a quanto pare per un malinteso sulla gestione delle paghe da parte di un certo “Montenegro”, servitore dei Fieschi e reclutatore per il signore di Piombino, si ritrovarono detenuti in un carcere a Tortona come disertori, quando decisero di lasciare il precedente ingaggio per cercarne uno nuovo a Milano, supplicando gli “illustrissimi principi” milanesi di garantirne il rilascio.

GIOVANNI DI CRISTOFANO GHINI e FRANCESCO D'ANDREA "Battaglia di Poggio Imperiale", 1480 c. Palazzo Pubblico, Siena (Sala del Mappamondo)

Schioppettiere in ricarica, dettaglio tratto dalla “Battaglia di Poggio Imperiale”, affrescata presso il Palazzo Pubblico di Siena (1480 c.)

Per quanto in nessun punto, come abbiamo detto, questa supplica contenga una data di riferimento, la morte di Carlo di Borgogna, qui ricordato come “quondam”, ovvero deceduto, assicura un termine post quem al principio del 1477. Possiamo solo immaginare che nel caos seguito alla disfatta e al disastro delle sue armate, il Vipret, a capo di un pugno di altri schioppettieri, abbia deciso di valicare le Alpi per tentare la fortuna in una delle zone più instabili e rissose, ovvero quella Genova attraversata da feroci faide intestine e sempre pronta ad una sollevazione.

Un indizio, in particolare, dimostra come all’epoca della stesura del documento la stessa Genova fosse ancora sforzesca, essendo soggetta ad un “commissario” chiaramente sottoposto alla volontà ducale. Considerato come la signoria sforzesca sia di fatto cessata con la rivolta di Prospero Adorno tra luglio e agosto del 1478, per non tornare fino all’agosto del 1488, è altamente probabile che il documento dati tra la metà del 1477 e quella del 1478. Il richiamo al servizio presso il Duca di Borgogna, infatti, sembra acquisire un senso nei giorni più prossimi alla sua sconfitta, mentre appare più complesso credere che un gruppo di schioppettieri veterani delle guerre svizzere sia rimasto coeso ed in servizio fino al 1488, quando la stessa “nota di merito” del servizio borgognone, a due lustri di distanza, non avrebbe avuto lo stesso valore. Il plurale impiegato per descrivere le “signorie” milanesi si giustifica con la minore età di Gian Galeazzo Maria Sforza, rimasto fino al 1480 sotto la reggenza della madre Bona di Savoia, per passare quindi sotto quella dello zio Ludovico il Moro, che secondo ogni indizio lo fece avvelenare nel 1494.

Per concludere, dobbiamo osservare come il volgare del documento, sebbene ricco di espressioni latine, risulti nel complesso piuttosto leggibile, nonostante le numerose differenze grafiche col lessico contemporaneo, che sono state qui mantenute in aderenza al testo originale con modici interventi sulla punteggiatura.

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Archivio di Stato di Milano, Autografi 231, Fabbriche di Armi ed Armature.

Illustrissimi clementissimique Principes. Ritrovandosi li vestri fidelissimi servitori Vipret cum cinqui altri suoy compagni sclopateri alamani de Colono in lacitate de Zenova, tuti prosperosi et expertissimi, fureno ne li servicii del lo illustrissimo quondam Duca de Burgondis contra li Svyceri, tandem dicti Vipret et altri cinqui suoy conpatrui se aconciareno cum Montenigro, existente ali servitii di Fieschi, per andare ad Pomblino ali servicii del signore, ibi prometendoli dare li dinari per due paghe avante trato. Et tenutoli spatio de uno mese non datoli alcuni dinari, et poy datoli una paga per cadauno, non curandosi de servirli sed bramosi de venire ad Milano ad servire, a Vostre Excelencie piacendoli, più volte rechiesteno licentia al dicto Montenigro, atteso che havevano servito per uno mese, videlicet per lo tempo de li dinari havevano havuti per dicta paga; et non possuta havere la licentia, essendo defraudati da luy, tandem se partireno da Zenova sine eius licentia. Et venendo verso Milano, gionti che fureno ad Tertona, dicto Montenigro havendoli mandato dreto uno corzero quale hebbe ricorso dal domino commissario, ibi li ha facto destenire tuti sey, sub pretextu non habiano servito per il tempo de li dinari receuti et esserli fugiti, non volendo propter hoc relassarli sine licentia ducali, che è cossa inhumana et indebita et aliena da ogni equitate et honestate, ne dovendo ser tolerato per Vostre Excelencie, precipue att(eso) sono partiti per venire ad aconciarsi ali Vostri servitii et havere servito per tanto tempo quanto assende la dicta paga receuta de uno mese, ac etiam che non se sariano aconciati cum luy ullo pacto se non li havesse tolto le sue arme et robe.
Pertanto da parte de dicti Vipret et compagni humiliter fi supplicato ale prefate Vostre Signorie, pregandole se dignano expresse commettere et mandare al dicto domino commissario che statim libere et sine aliqua expensa et exceptione voglia relassare de presone tuti dicti detenti prout decet et fi creduto essere de Vostra pia intentione.


Link utili:

Info biografiche su Prospero Adorno
Cronologia essenziale 1481-1492 


BREVI CENNI STORICI

Segue un estratto, con omissis, dalla recensione di C. TRIPODI al testo di V. ILARDI, Renaissance vision from spectacles to telescopes, Philadelphia, American Philosophical Society, 2007 [rif. Archivio Storico Italiano, Vol. 166, No. 2 (616) (aprile-giugno 2008), Leo S. Olschki, pp. 341-344]

«Noti in Toscana dal principio del secolo XIV grazie ai sermoni di fra’ Giordano che affermava di averli visti personalmente in uso a Pisa alla fine del ‘200, i preziosi cerchietti di vetro, capaci di prolungare la vista umana oltre il limite consentito dall’età biologica, si diffusero a Firenze e altrove in virtù dell’abilità manuale di frate Alessandro della Spina, confratello del primo. Nati come evoluzione della lente di ingrandimento, presenti nelle fonti veneziane come dischi di vetro e solo in quelle fiorentine con il nome di occhiali che li avrebbe caratterizzati per tutto il tempo a venire, furono oggetto di esportazione già dal 1321. I fabbricanti di occhiali, non costituiti in arte, si appoggiavano fin dal principio a quella dei cristallieri e spesso venivano associati agli orafi e ai lavoranti di pietre preziose: gli occhialai, artigiani raffinati, ben si assimilavano agli artefici di manufatti di lusso. Grazie alle ceneri alcaline di Siria ed Egitto essi accostarono la trasparenza del vetro chiaro alla purezza del più pregiato cristallo e implementarono la produzione di lenti da vista (…)
Al di là dell’invenzione, quella che oggi appare certa è la leadership di Firenze nella produzione e diffusione del prezioso accessorio, e se ai domenicani spettò il primato nella loro fabbricazione, diffusione e perfino nelle raffigurazioni pittoriche, i francescani non furono da meno dedicandosi tanto alle teorie ottiche quanto alle rappresentazioni artistiche (…)

Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, pare che i costi degli occhiali fossero piuttosto contenuti – fatta eccezione per quei casi in cui le lenti erano di cristallo e le montature di materiale pregiato. Gli occhiali trovarono un vasto impiego presso ecclesiastici, notai, artigiani di fino (è il caso delle suore agostiniane di Santa Maria del Fiore presso Firenze che ricamavano e lavoravano ai ferri), mentre rimase modesta la loro diffusione dietro prescrizione medica. I medici preferivano ancora affidarsi ai tradizionali rimedi naturali e guardavano con sospetto questi ausili meccanici, come dimostra l’assenza di riferimenti agli occhiali nei due trattati oftalmologici più diffusi nel basso Medioevo (…)
Fuori dall’Italia gli occhiali si diffusero presso uomini di Chiesa, mercanti, artigiani probabilmente adusi a frequenti viaggi e spostamenti. I ritrovamenti archeologici più antichi sono di area tedesco-baltica e risalgono al principio del XIV secolo.
Niente di particolarmente diverso da quanto accadde in Italia dove lo sviluppo autentico dell’optometria si ebbe solo dalla metà del XV secolo in avanti. Dopo il 1450 apparvero le prime lenti concave pensate per la correzione della miopia (ndr, fino a non molti anni fa era credenza abbastanza diffusa che le lenti fossero unicamente convesse e destinate ai presbiti; si vedano i documenti al termine dell’articolo). Ne fanno testo Niccolò Cusano con un’impronta metafisico-teologica ma anche, in maniera più terrena, il duca di Milano Francesco Sforza. E fu proprio la corte del Duca a rappresentare un ampio mercato di consumi dove gli occhiali fiorentini figuravano come status symbol (…) Materiali adatti alla struttura delle montature erano il legno come il metallo, l’osso, il corno, l’avorio come la pelle, tagliati, modellati e lavorati in base alla loro specifica natura e all’adattabilità ad inserirvi lenti concave o convesse a seconda del difetto da correggere».


UN SORPRENDENTE (QUANTO UNICO) REPERTO ITALIANO DEL ‘400

In uno scavo del 1982 è emerso a Firenze un paio di occhiali databili al XV secolo, con ponticelli curvi, privi di lenti e articolati tramite un rivetto, in condizioni generali quasi perfette. Si tratta, allo stato, dell’unico esemplare italiano di pince nez di epoca medievale finora noto.

La montatura si trovava a 8,3 mt di profondità, all’interno di un pozzo situato in Via dei Castellani, sul retro di Palazzo Vecchio. Nelle analisi provvisorie effettuate sul posto, si indicò come corno il materiale di fondazione, sebbene le fessure e le sporgenze presenti, espedienti comuni per sigillare gli oculari con del filo, al fine di trattenere le lenti in sede, suggeriscano che possa trattarsi di osso (e con meno probabilità avorio), vista l’ampia incidenza di tale materiale organico nei reperti rinvenuti in loco. Misure: lunghezza tot. 68 mm, diametro oculari 33 mm

Tratto dal testo di V. ILARDI, Renaissance vision..., 2007, p. 309

Tratto da V. ILARDI, Renaissance vision..., 2007, p. 309


PRINCIPALI REPERTI ARCHEOLOGICI ESTERI DEL XIV-XV SEC.

Il maggior numero di originali riferibili al Quattrocento pare provenire da località dei Paesi Bassi: tra i più noti quelli emersi a Vlissingen (1425-1450 c.), Harleem (1350-1575 c.), Bergen Op Zoom (1380-1425 c.), Middelburg e Windesheim/Zwolle (tardo XV sec.).

Pince nez 1380-1425 c., prov. Bergen Op Zoom, Olanda

Pince nez 1380-1425 c., prov. Bergen Op Zoom, Olanda (fonte: www.antiquespectacles.com)

Anche dagli scavi di Raversijde (Ostend) in Belgio è emerso, nel 1992, un frammento di montatura ossea datato al XV secolo.

La Germania vanterebbe, secondo alcuni, i più antichi esemplari di pince nez, rinvenuti nel 1953 sotto gli stalli trecenteschi del coro dell’Abbazia di Wienhausen (Bassa Sassonia): uno di essi, in legno di bosso, è della tipologia “a rivetto” e ancora provvisto di lenti. Nei pressi di un monastero agostiniano a Friburgo sono emersi altri occhiali presumibilmente databili al XIV secolo, con ponticelli ricurvi ma privi di lenti.

Pince nez, XIV sec., prov. Abbazia di Wienhausen (Bassa Sassonia)

Pince nez XIV sec., prov. Abbazia di Wienhausen, Germania (fonte: www.antiquespectacles.com)

Il pince nez più antico della Polonia è conservato nel Museo di Archeologia e Storia di Elbląg: si tratta di un occhiale databile entro la prima metà del XV secolo, ritrovato in un appezzamento di terreno oggi ubicato in Garbary Street, un tempo pertinente ad un’area residenziale di ricchi mercanti. La montatura è in corno, con ponticello fisso (quindi senza oculari articolati) ed ancora provvista di particolarissime lenti in vetro verde scuro: quest’ultimo dettaglio farebbe ritenere che la funzione fosse quella di proteggere dai raggi solari e non quella di offrire supporto alla lettura.

Pince nez 1400-1450c., prov. Elbląg, Polonia

Pince nez 1400-1450c., prov. Elbląg, Polonia (fonte: www.strefahistorii.pl)

In Inghilterra sono oltremodo famosi gli occhiali londinesi in osso degli scavi di Trig Lane, Blackfriars (1430-1440 c.), lunghi 65 mm, con oculari di circa 30 mm e sui quali è possibile reperire diverse informazioni in rete; sempre dalla capitale anglosassone sono emersi altri frammenti di montatura a Swan Stairs.

Pince nez 1430-1440 c., Trig Lane (Londra), UK (fonte: www.collections.museumoflondon.org.uk)

Pince nez 1430-1440 c., Trig Lane, Londra (fonte: www.collections.museumoflondon.org.uk)


CONFRONTI ICONOGRAFICI

Quanto all’iconografia, considerato che la rete offre un ampio ventaglio di opportunità, preferiamo non dilungarci troppo nella relazione, invitando il lettore a condurre direttamente una ricerca diretta (suggeriamo i termini “pince nez”, “occhiali medievali” e “medieval spectacles”).
Tanto per iniziare, ecco una piccola rassegna Pinterest: CLICCA QUI


APPENDICE DOCUMENTARIA – MISSIVE SFORZESCHE

Lettera datata – Milano, 13 giugno 1466

Galeazzo Maria Sforza al suo ambasciatore Nicodemo Tranchedini da Pontremoli.

Archivio di Stato Milano (AsMi), Registri delle Missive, Reg. 77, fol. 89v, rotolo 501

Nicodemo de Pontremulo

‘Perche haveressemo caro havere li ochiali, li quali te mandiamo notati in la lista qui inclusa, volemo che havuta questa debii vedere de recattarli che siano in perfectione per le etate como dice dicta lista; et mandarneli facendoli mettere in qualche scatola ben asettati et separati l’una sorte da l’altra cum li scripti attacati, in modo che quando li habiamo sapiamo discernere l’una sorte da l’altra; avisandone de quello costarano perche te faremo provisione al pagamcnto. Mediolani XIII iunii 1466.

Io[hannes Simonetta]
Para XV de ochiali de anni 30, 35, 40, 45, 50 [55 sbarrato], fini.
Item, para XV de ochiali de anni 40, 45, 50, 55, 60, 65, 70.
Item, para X de ochiali di zovene de meza vista.
Item, para X de longa de zovene.

Questa lettera rappresenta la prima e chiara dimostrazione del fatto che almeno dal 1466 i fabbricanti di occhiali e i loro clienti avevano piena contezza del principio per cui l’acutezza visiva è tendenzialmente destinata a calare dall’età di 30 anni in avanti; l’uso di espressioni relative ad una vista da mezza e lunga distanza, inoltre, è indice di una certa consapevolezza della progressività degli stadi miopici.

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Lettera datata – Milano, 21 Ottobre 1462

Galeazzo Maria Sforza al suo ambasciatore Nicodemo Tranchedini da Pontremoli.

Bibliotheque Nationale de France, Parigi, Fonds Italien, Cod. 1595, fol. 291, rotolo 1762

Perche sonno molti che ne domandano delli ochiali che se fanno li ad Fiorenza, attento che la fama e che se fanno in piu perfectione che in veruno altro loco de Italia, volemo te te [sic] commettiamo che ne deby mandare tre docene de dicti ochiali, acconzati in schatole che non se possano rumpere; zoe una docena de quelli sonno apti et convenienti ad la vista longa, zoe da zovene; et un’altra che siano convenienti ad la vista curta, zoe de vechy; et la terza da vista comune. Li quali te aviso non volemo per nostra uso, perche per la grazia de Dio nuy non ne havemo bisogno, ma li volemo per compiacerne ad questo et quello che ne li domandano. Mandandoli per le poste de nostri cavallari, li quali drizaray in mano de Zohanne Symonetta, nostra secretario, et avisandone de quello costarano perche te manderemo li denari. Datum Mediolani XXI October 1462. Iofhannes] Petrus. Io[hannes] Simonetta.

In questa missiva, che pur precede l’altra temporalmente, emerge l’ordine impartito dal Duca di Milano di procurare tre dozzine di paia di occhiali, provenienti dalla città di Firenze e differenziate in base alla carenza di visus da correggere, variabile con l’età. Tale circostanza consente di dimostrare che già nei primi anni ’60 del secolo XV sono attestate lenti concave da miope e che Firenze era senza dubbio reputata leader nella produzione di occhiali di alto livello qualitativo.


I “PINCE NEZ” RICOSTRUITI DA IMAGO ANTIQUA

Gli occhiali medievali che comunemente si possono acquistare presso i rivenditori sono perlopiù riproduzioni, talvolta non del tutto accurate, dell’esemplare emerso a Trig Lane (Londra).
Mossi dall’intento di realizzare una replica ex novo e ben documentabile per l’area centro-italiana della seconda metà del 1400, ci siamo rivolti ad Ezio Zanini – ViduQuestla, nostro artigiano di fiducia, al quale abbiamo affidato in passato, con piena soddisfazione, diversi altri progetti ricostruttivi (di recente, una clepsamia: CLICCA QUI)

Mantenendoci fedeli all’impostazione di interpolare le fonti pervenute, ci siamo subito addentrati nella scrematura dell’iconografia a nostra disposizione, rintracciando come possibile modello di riferimento un dettaglio visibile nell’opera di Piero di Cosimo intitolata Visitazione con S. Nicola e S. Antonio Abate (1489-1490, National Gallery of Art, Washington).

Iconografia  di riferimento

Iconografia di riferimento

La tipologia a ponticelli imperniati e ricurvi trova riscontro diretto nell’originale fiorentino di Via Castellani (vedi sopra), per quanto il materiale appaia differente: visto il particolare tratto scuro con il quale l’artista ha delineato il pince nez indosso a S. Antonio, che non presenta variazioni di colore né screziature, si è deciso di confezionare la nostra ricostruzione in corno di bufalo, materiale che presenta le stesse caratteristiche cromatiche rese nel dipinto.

Il corno è stato quindi segato a mano per realizzare le “piastrine” piatte della montatura, con le misure a noi utili.

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Una volta tracciata la forma di ogni singolo oculare, si è proceduto a segarne i contorni ed ad eseguire il foro che permette di articolare tra loro i due archetti.

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Il tutto è stato successivamente lisciato e rifinito con l’ausilio di lime e carte abrasive, grazie alle quali, con passaggi di grana sempre maggiore, si è giunti a lucidare in maniera uniforme la superficie nera del corno.

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Una volta ottenuta una montatura leggera e sottile, con proporzioni e forma comparabili a quelle del dipinto, si è proceduto alla realizzazione del rivetto centrale e delle rondelle che consentono l’unione ed articolazione delle due parti, realizzate con processi in tutto manuali a partire rispettivamente da una barretta e da fogli di ottone.

Occhiali x sito
L’aggiunta di lenti correttive +1,25 è stata effettuata ricorrendo ad un ottico professionista, conferendo reale funzionalità alla replica.

Ringraziamo sentitamente l’amico Ezio Zanini (www.viduquestla.it) per il supporto offerto nella realizzazione della replica in oggetto e per gli scatti del work-in-progress.

Articolo di ANDREA CARLONI (2019)

L’Ass. Cult. IMAGO ANTIQUA è lieta di presentare una ricostruzione fresca di forgia, commissionata all’abile fabbro Saporiti Roberto (Saporiti Sword): trattasi di uno stocco italiano di fine Quattrocento, contraddistinto da una robusta costolatura mediana che attraversa l’intera lama.
L’esemplare originale, oggi conservato presso il Philadelphia Museum of Art con n° inv. 1977-167-543, un tempo faceva parte della collezione di Ralph Bernal, morto nel 1854; la scheda museale è direttamente visionabile QUI.

Per quanto a nostra conoscenza, si tratta dell’unica replica finora creata su suolo italiano di questa peculiare arma bianca.
Segue il reportage del progetto, la cui realizzazione ha richiesto circa 1 anno di studio e sperimentazioni sul campo.

Desideriamo ringraziare cordialmente la Saporiti Sword per la professionalità, la tenacia e la dedizione profuse, nonchè il Dott. Dirk H. Breiding, curatore del Philadelphia Museum, e Mr. Clive Thomas, ricercatore e membro della “Arms and Armour Society”, per le immagini ed il prezioso supporto fornitoci.

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CONSIDERAZIONI GENERALI SULL’ORIGINALE 

L’arma è classificabile come “spada a una mano e mezza”, Oakeshott Type XVa; il pomo è identificato come Oakeshott Type V1.

Peso e bilanciamento sono definiti “sconcertanti” da C. Thomas (!), ottenuti con una sapiente calibratura di tutti gli elementi strutturali.
Alla luce dei confronti condotti con altri originali ed evidenze iconografiche, l’oplologo conferma l’attribuzione del pezzo fornita dal museo all’ultimo quarto del XV secolo (1475-1500 c.).
Ad oggi non abbiamo contezza dell’esistenza di studi più accurati su questo pezzo: egli ha personalmente rilevato misure e caratteristiche tecniche dello stocco in esame in occasione di una visita al Philadelphia Museum condotta nel maggio 2012, a seguito della quale ha realizzato l’articolo dal titolo The “Bernal” Sword in the Philadelphia Museum of Art (facente parte di The Park Lane Arms Fair Guide, Spring 2016, pp. 13-25), dal quale abbiamo estrapolato le informazioni sintetiche che seguono.

Abbiamo avuto il piacere di entrare direttamente in contatto con Mr. Thomas, commentando per via epistolare gli aspetti più controversi e ricevendo scatti fotografici di dettaglio non presenti nella pubblicazione sopra citata che si sono rivelati decisivi per apprezzare appieno la tridimensionalità di ogni singolo elemento. E’ quindi grazie alla sua disponibilità e acribia se la replica di Saporiti rispecchia fedelmente la controparte museale.


MISURE GENERALI

Lunghezza totale: 119,2 cm

Peso: 1.150 gr

Punto di bilanciamento: 15 cm dal forte; punto in cui le “spalle” della lama incontrano il codolo; la localizzazione di questo punto è quasi sempre coperta dal centro della crociera.

Centro di percussione: 37 cm dalla punta; punto della lama in cui si produce una vibrazione molto ridotta o nulla nel momento in cui essa colpisce un oggetto/bersaglio. Sulla maggioranza delle spade medievali, questo punto è generalmente localizzato a circa 1/3 della lunghezza della lama, partendo dalla punta, con alcune variazioni; un ulteriore “nodo” di minima vibrazione è situato subito dietro la crociera, nel manico, in modo tale che l’elsa non sbatacchi quando la lama sferra il colpo.


POMO

Lunghezza pomo: 9,5 cm
Ampiezza pomo: 8,2 cm
Massimo spessore pomo: 2,8 cm

Il pomo è a forma di aquilone, finemente costolato – a richiamare la lama – e cavo: è infatti formato da 3 parti separate e saldate insieme tramite brasatura in lega di rame (fronte, dorso e striscia esterna formante la sommità e i lati). Non c’è alcun bottone di fissaggio al codolo, la cui parte terminale è stata semplicemente ribattuta in testa, fuoriuscendo in maniera minimale.

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IMMANICATURA

Lunghezza manico: 14,1 cm
Massima ampiezza manico: 3,6 cm
Massimo spessore manico: 2,0 cm

L’immanicatura possiede un’anima in legno rivestita di uno strato di velluto cremisi, sul quale è avvolto dello spago ritorto, a formare un complesso motivo a reticolo. Alle estremità, la cordicella, presumibilmente in fibra tessile, presenta 3-4 giri extra per garantire un fissaggio ottimale dell’insieme.

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CROCIERA (GUARDIA)

Ampiezza crociera: 30,6 cm (da estremità a estremità)
Lunghezza crociera: 4,75 cm al blocco centrale (ecusson)
Spessore crociera: 2,0 cm al forte

Guardia identica su entrambi i lati, formata da un pezzo unico; vicino al centro i bracci sono piatti e di sezione romboidale omogenea, mentre si ampliano verso le punte, assumendo una sezione a diamante appiattito. Il blocco centrale (ecusson) è delimitato da due piccole tacche verticali, delle medesima ampiezza della lama; sul centro si estende fino a sfiorare (e non esattamente a toccare), la costolatura posta sulla lama.

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LAMA

Lunghezza lama: 95 cm
Ampiezza lama: 6,85 cm al forte
Spessore lama: 10,5 mm al forte

La lama è a doppio filo, con facce relativamente piatte.

Vista dalla crociera, va sfinando verso la punta in modo molto uniforme; carattere distintivo è la costolatura mediana che corre per tutta la sua lunghezza, dal forte all’estremità del debole, con la funzione di irrobustirla in modo assai efficace.

I fili sono molto taglienti e coprono circa 1-2 millimetri della lama esterna ed hanno una smussatura (bisellatura) di circa 25-45 gradi. Negli ultimi centimetri verso la punta, la smussatura dei fili si amplia fino a fondersi con la costola centrale della lama, andando a formare un unico punto a sezione di diamante. Entrambe le facce della lama presentano un marchio fabbrile in agemina (lega di rame), interpretabile come giglio o composizione di foglie; sono altresì presenti decorazioni incise e tracce di doratura.

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COMMENTO ALLA RICOSTRUZIONE
a cura dell’artefice, Roberto Saporiti

La “Bernal Sword” è composta da elementi di dimensioni insolitamente elevate rispetto alla media.

Sia pomo che guardia hanno entrambi misure superiori alla norma ed anche la lama si presenta molto ampia al forte: la sua particolare geometria, che contribuisce in maniera determinante alle doti di leggerezza e rigidità, ha richiesto grande precisione e un gran numero di ore di lavoro.

La guardia è stata riprodotta in due parti saldate per bollitura e successivamente adattate alla lama a caldo.

Il pomo ha la caratteristica di essere composto in 3 parti distinte, unite per brasatura al rame, esattamente come nell’originale: esso è quindi cavo e leggerissimo, nonostante le sue ragguardevoli dimensioni.

L’immanicatura, infine, consiste di un materiale di fondazione in legno di ciliegio, ricoperto con velluto di seta rosso cremisi. Su di esso è stato intrecciato un motivo a reticolo con filo di canapa nero cerato, a replica di ciò che si osserva sulla controparte conservata al Philadelphia Museum.

Questa riproduzione è stata molto difficoltosa, direi sfidante, non solo per via delle geometrie e delle soluzioni tecniche, che di per loro hanno richiesto un lungo periodo di studio preventivo, ma anche (e soprattutto!) per l’obiettivo di ottenere parametri di peso e baricentro in tutto analoghi all’originale. Con grande soddisfazione, possiamo affermare di aver “centrato il pezzo” al 95%: il baricentro è infatti il medesimo rilevato presso il museo da Clive Thomas, mentre il peso sfora l’originale di appena 90 grammi.

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Per quanto l’apparenza possa indurre a pensare ad un’arma nel complesso pesante o quantomeno non perfettamente gestibile, il brandeggio rivela, al contrario, una sorprendente maneggevolezza e fluidità del gesto schermistico!

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Vorrei concludere ringraziando l’Ass. Cult. IMAGO ANTIQUA e Andrea Carloni, proprietario della replica, per avermi fornito tutti i dati necessari a riprodurre fedelmente una spada così bella ed aver riposto fiducia nelle mie capacità!

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In data 30 marzo 2019 abbiamo realizzato, con grande soddisfazione generale, il progetto di varcare in abiti del Quattrocento le soglie quasi sacrali di un vero e proprio tesoro internazionale dell’architettura e della cultura umanistica, muovendoci al suo interno alla stessa maniera dei suoi originari avventori. Stiamo parlando dell’AULA NUTI presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, patrimonio UNESCO dal 2005.

Oggi sappiamo per certo che, già in antico, essa fu frequentata anche da diverse donne, stando ai numerosi graffiti presenti su intonaco e banchi, recentemente oggetto di studi settoriali : tra i tanti, compaiono i nomi Zoanna, accompagnato dalla data 1478, e per ben 14 volte quello di Lucretia, con ogni probabilità identificabile in Lucrezia Borgia, che fonti consolidate riferiscono in transito a Cesena, assieme ad un folto seguito, il giorno 24 gennaio 1502. 

Grazie alla squisita cortesia della Dott.ssa Paola Errani, Responsabile Biblioteca Antica e Fondi Storici, che ci ha consentito di prelevare e visionare dal vivo, direttamente sui plutei lignei, una selezione di preziosi manoscritti e codici miniati, abbiamo assaporato momenti di integrale abbandono nell’atmosfera del tardo XV secolo.

Era la prima volta che una simile opportunità veniva concessa ai praticanti della Ricostruzione Storica. Poichè sarebbe stato limitativo viverla in pochi, abbiamo deciso di condividerla con altri reenactors di lunga data, che hanno collaborato al nostro fianco con encomiabile disponibilità e dedizione.
A ciascuno di loro va il tributo di riconoscenza di tutta IMAGO ANTIQUA!

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Organizzazione evento: Ass. Cult. IMAGO ANTIQUA


PARTECIPANTI

Imago Antiqua
Silvia Ballabio
Andrea Carloni
Marco Vignola

I Fanciulli e la Corte di Olnano
e Compagnia dell’Istrice

Alberto Antonelli
Daniele Fabbri
Ettore Pazzini

Singoli re-enactors
Ylenia Borgonovo
Alessio Orlandi
Renzo Semprini

Ringraziamo sentitamente anche la Compagnia di San Martino, nelle persone di Filippo Vannini ed Erika Tamburini, per il prestito di alcuni capi d’abbigliamento utilizzati per l’occasione.

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Per vedere l’intera gallery fotografica
CLICCA QUI

Uno slideshow dedicato all’evento da noi organizzato è stato inserito nella “Storia per immagini” realizzata nel maggio 2020 dalla Dott.ssa Carla Rosetti, contributo che intende ripercorrere tappe e personaggi salienti legati alla Biblioteca Malatestiana:

Per vedere un breve slideshow
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La Biblioteca di Malatesta Novello, Signore di Cesena

di Paola Errani
Responsabile Biblioteca Antica e Fondi Storici

Articolo specificamente realizzato per IMAGO ANTIQUA

Alla metà del Quattrocento, sotto la signoria di Malatesta Novello, Cesena conosce un momento di straordinario splendore artistico e culturale, che culmina nel grande cantiere della Biblioteca.

La sua fondazione si deve alla volontà congiunta di Malatesta Novello, signore di Cesena dal 1433 al 1465, e dei frati francescani, che avevano in animo di costruire una biblioteca ad uso del loro Studium, attivo già da decenni, e che per questo scopo avevano ottenuto dal papa Eugenio IV il permesso di utilizzare un lascito testamentario. Dal 1450 è documentato l’intervento di Malatesta, che fa erigere una splendida sala all’interno del convento in cui alloggiare la biblioteca, monumento perenne per sé, la sua famiglia ma anche per la città.

L’edificio è opera del fanese Matteo Nuti, Dedalus alter, come si legge nell’epigrafe posta a lato della porta d’ingresso, ma una suggestiva ipotesi attribuisce il progetto architettonico a Leon Battista Alberti, che negli stessi anni in cui viene eretta la Malatestiana si trova a Rimini, alla corte di Sigismondo Malatesta, fratello di Malatesta Novello, per il quale edifica il Tempio malatestiano.

Terminati i lavori nel 1452, la biblioteca viene “inaugurata” ufficialmente “a dì 15 d’agosto 1454”, data che si legge incisa sulla splendida porta lignea d’ingresso, che reca gli stemmi malatestiani e il nome dell’intagliatore, Cristoforo di San Giovanni in Persiceto.

Al di sopra della porta, inserito nel timpano, campeggia il bassorilievo dell’elefante, emblema dei Malatesti, con il motto Elephas Indus culices non timet (L’elefante indiano non teme le zanzare).

Dal punto di vista architettonico la Malatestiana si ispira al modello realizzato da Michelozzo a Firenze nella biblioteca di San Marco voluta da Cosimo de’ Medici: la sala presenta una pianta basilicale, suddivisa in tre navate da due file di dieci colonne ciascuna, ed è illuminata da ventidue finestrine su ogni lato e da un rosone sulla parete di fondo, che distribuiscono uniformemente la luce.

Stemmi malatestiani sono presenti nel plutei e sui capitelli, e il nome di Malatesta Novello ritorna nell’iscrizione inserita nel pavimento in ogni campata, accompagnato da quel dedit (diede), che rinnova la memoria del donatore.

Nelle navate laterali due file di 29 plutei ciascuna, contengono i libri, che sono il fondamento della Biblioteca.

Malatesta Novello integra il preesistente fondo conventuale, costituito nel suo complesso già nel Trecento e comprendente le Sacre Scritture, testi di teologia e di filosofia, raccolte enciclopediche, con i manoscritti prodotti nello scriptorium da lui fondato. Scriptorium che nell’arco di vent’anni circa (dal 1446 al 1465) produce 126 codici con le opere dei classici greci e latini e dei Padri della Chiesa. La biblioteca viene completata dalla raccolta di 119 codici donata dal medico del Novello, Giovanni di Marco da Rimini, comprendente testi di medicina, astronomia, scienze naturali, ed è arricchita dagli acquisti fatti dal Novello di codici greci ed ebraici.

Già la scelta linguistica qualifica l’idea di biblioteca che Malatesta Novello voleva realizzare: nella raccolta entrarono solo volumi in latino, greco, ebraico, la cui presenza dà espressione concreta a quel concetto delle tre lingue che è motivo essenziale della cultura del Rinascimento. La raccolta quindi realizza compiutamente la cultura, i gusti, le passioni di questo principe del Quattrocento, che si ispira ai canoni della civiltà umanistica.

L’interesse universale della Malatestiana è ribadito dalla scelta di destinare la raccolta ad uso pubblico sotto il controllo delle autorità cittadine. E quindi la Malatestiana pur essendo nata come “libraria Domini”, biblioteca signorile, per essere stata affidata dallo stesso Malatesta Novello al Comune e destinata ad uso pubblico, diventa una delle più antiche biblioteche pubbliche d’Europa. Alla municipalità sono affidate dal principe la cura e la tutela della biblioteca, anche se il custode bibliotecario è scelto tra i frati del convento: di questa doppia custodia sono simbolo le due chiavi con cui si apre la porta, e che furono conservate sino alla fine del Settecento ciascuna presso le due istituzioni. Ora le chiavi sono entrambe custodite presso la Biblioteca.

Il vigile controllo esercitato dal Comune nei secoli è uno dei principali fattori che hanno determinato la straordinaria conservazione della biblioteca in tutti i suoi elementi, permettendole di superare indenne la fine della dominazione dei Malatesti, la soppressione in età napoleonica del convento francescano che la ospitava, e tanti altri momenti difficili della sua storia.

Mentre collezioni anche più importanti sono andate disperse nel corso del tempo, ancora oggi i 340 codici sono al loro posto come cinque secoli fa, legati ai banchi dalle loro catenelle quattrocentesche, né è mutata la loro disposizione.

Oggi l’antica ‘libraria’ è inglobata nella biblioteca moderna, di cui costituisce la radice e l’anima, espressione perenne della volontà di Malatesta Novello di dare alla sua città una biblioteca pubblica. La Malatestiana è il maggior motivo d’orgoglio per Cesena ed è un simbolo amato con eccezionale fedeltà dai cesenati: l’iscrizione della Biblioteca nel Registro della Memoria del Mondo, avvenuta nel 2005, rafforza in particolare il senso di responsabilità della città nei confronti di questo patrimonio, e l’impegno nel conservarlo e valorizzarlo, e a renderlo sempre più accessibile e fruibile alla collettività.

Nel solco di una consuetudine ormai consolidata, IMAGO ANTIQUA non mancherà di prendere parte alla nuova edizione dell’evento multiepoca Le Vie del Tempo, che si terrà a Crevalcore (BO) in data Domenica 7 Aprile p.v., dove si riuniranno circa 250 Rievocatori Storici provenienti dall’intera penisola.

Si tratta di una riuscitissima iniziativa di Living History a scopo benefico (INGRESSO LIBERO), nata su impulso delle Associazioni “La Compagnia d’Arme delle 13 porte” e “I sempar in baraca”, per la quale i gruppi partecipanti non percepiscono alcuna forma di compenso, come segno tangibile di vicinanza e solidarietà alla popolazione colpita dal violento terremoto del 2012.

E’ atteso un elevato numero di visitatori che, grazie al contributo poliedrico delle diverse realtà rievocative, coprenti un arco cronologico molto vasto (dalla Preistoria alle Guerre Mondiali), potranno muoversi idealmente attraverso più secoli: passando tra gli allestimenti ed assistendo alle dimostrazioni previste, adulti e bambini avranno occasione di apprezzare i cambiamenti prodottisi nel campo dell’abbigliamento, delle dotazioni utilizzate nel mondo quotidiano, così come delle differenti armi e protezioni indossate da coloro che praticavano il “mestiere della guerra” e… tanto altro ancora.

Quest’anno IMAGO ANTIQUA presenzierà con due banchi mercantili del tardo XV secolo, illustrando l’attività del venditore di ceramica e maiolica e quella del merciaio. Esporremo sia repliche di qualità museale che reperti originali provenienti dalle nostre collezioni, ricercando il più possibile il coinvolgimento del pubblico in visita. Vi aspettiamo con le vostre famiglie!

Leggi sul sito ufficiale i dettagli dell’evento: CLICCA QUI

Il borgo di Zuccarello, sormontato dai ruderi imponenti del suo castello, ci offre uno scorcio sul passato tra i più suggestivi dell’intera Liguria. Fondato nel 1248 dai marchesi di Clavesana Bonifacio III, Emanuele I e Francesco I, questo insediamento fortificato fu capitale di un piccolo stato preunitario (il Marchesato di Zuccarello, appunto) durato fino al 1624, quando passò completamente sotto la sfera genovese con la vendita da parte di Ottavio del Carretto, la quale innescò un sanguinoso conflitto tra Carlo Emanuele I di Savoia e la Repubblica di Genova.

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Più che a queste vicende belliche, tuttavia, Zuccarello deve la sua rinomanza all’aver dato i natali a Ilaria del Carretto, generata nel 1379 da Carlo I e andata in sposa a Paolo Guinigi, signore di Lucca, nel 1403. Dopo la sua precoce morte nel 1405, il marito affranto volle infatti ricordarla commissionando un monumento sepolcrale a Jacopo della Quercia, passato alla storia come uno degli episodi più elevati della scultura funeraria italiana del XV secolo.

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Dall’epoca di Ilaria il tempo per Zuccarello sembra essersi fermato, perché il borgo conserva praticamente intatta la sua planimetria medievale, caratterizzata da un asse centrale porticato che si snoda da nord a sud tra le due porte principali. Una terza porta, lungo il fianco orientale, è ancora servita da un magnifico ponte a schiena d’asino, presumibilmente del XV secolo. Nonostante alcuni interventi successivi come la sopraelevazione delle dimore (in origine ad un solo piano) e la creazione di volte in muratura (eseguite probabilmente nel corso del Seicento), non è arbitrario sostenere che la fase di XIV-XV secolo sia ancora oggi conservata quasi in ogni pietra. Il campanile della Parrocchiale di S. Bartolomeo ne è solo l’esempio più apparente, ma all’osservatore attento non possono sfuggire gli archi dei portici, oltre ad una finestra con ghiera in mattoni, bardellonata e a sesto acuto, di chiarissima impronta tardo medievale, insieme a capitelli, portali e altri dettagli architettonici tutti convergenti verso il Trecento e il Quattrocento.

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CLICCA QUI per vedere altri scorci di Zuccarello 

L’eccezionale conservazione del borgo, ancora oggi popolato e vitale a oltre 770 anni dalla fondazione, lo ha reso un fattore d’elezione per creare un’iniziativa didattica volta a promuovere la conoscenza generale del Tardo Medioevo del Ponente ligure, che presenta ancora un’immagine colorata e visibile del Quattrocento nei molteplici cicli affrescati che ne tappezzano le chiese. La cosiddetta “stagione dei frescanti”, ispirata da maestranze di artisti itineranti come i Biazaci da Busca e il Canavesio, ha infatti lasciato sulle mura dei luoghi di culto e delle edicole (una delle quali nei pressi di Zuccarello) un vasto racconto per immagini, purtroppo poco noto al grande pubblico, ma assolutamente prezioso come florilegio iconografico per il ricostruttore storico del Tardo Medioevo.

CLICCA QUI per vedere i principali siti affrescati del ‘400 in provincia di Imperia


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L’abbondante iconografia del XV secolo della zona di Albenga e della Valle Arroscia, unita al fatto che nel Quattrocento i suoi portici fervevano davvero di vita commerciale, rende Zuccarello uno scenario ideale per le iniziative della nostra Associazione, che da oggi potrà giovarsi di un piccolo ambiente voltato prospettante sulla via principale come punto ove accogliere una ricostruzione scientificamente corretta di un ambiente tardomedievale.

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Tutti gli oggetti in mostra, secondo gli standard di IMAGO ANTIQUA, sono fedeli ai modelli originali ed illustrano al pubblico alcuni aspetti della vita quotidiana del periodo. L’immersione in uno spazio pienamente storico (la dimora che ci ospita è certamente medievale, sebbene soggetta a qualche rimaneggiamento posteriore) consente un contatto privilegiato con la storia, riducendo al minimo il compromesso con elementi moderni che “stonerebbero” nel quadro.

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E’ nostra speciale convinzione che proprio grazie alla didattica “informata” e scientificamente strutturata si possano avvicinare più persone non soltanto alla Ricostruzione Storica, ma al passato più in generale, specialmente in un’epoca come la nostra che privilegia il contatto tattile e visivo all’astratta lettera dei libri.

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La creazione di questo spazio didattico permanente, infine, si colloca in piena armonia con altre analoghe iniziative rivolte alla valorizzazione del passato attraverso la “living history”, come l’archeodromo di Poggibonsi, nato per diretto intervento dell’Università di Siena e riproducente un villaggio di periodo franco (IX-metà X secolo). Sebbene su scala più ridotta, ci auguriamo che questo piccolo ambiente, allestito principalmente quale bottega di un merciaio quattrocentesco, possa contribuire alla riscoperta della nostra storia e del prezioso lascito di monumenti che ancora costellano il territorio, nella convinzione che il primo passo per conservarli sia proprio comprenderne la silenziosa e atavica testimonianza.

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Mappa interattiva del paese di Zuccarello, con indicazione dell’ambiente del 1400 gestito da IMAGO ANTIQUA; richiedere disponibilità e orari inviando una email a info@imagoantiqua.it  

 

Locandina A4 Biblioteca Malatestiana DEF
INCONTRO DIDATTICO ED ESPERIENZIALE

SABATO 30 Marzo 2019, ore 15:00

TEMPUS LOQUENDI:
il secolo di Malatesta Novello si racconta.

1° appuntamento – Abbigliamento e Moda

Biblioteca Malatestiana di Cesena
c/o Sala Lignea
Piazza Maurizio Bufalini, 1 – Cesena

Evento organizzato dall’Associazione Culturale IMAGO ANTIQUA, con il patrocinio del Comune di Cesena.

*** COMUNICATO STAMPA ***

Fin dalla sua apertura, nel 15 agosto 1454, l’Aula Nuti conserva «voci illustri o oscure di uomini e donne di quella età, che ci parlano ancora dalle loro scritture graffite sull’intonaco e sul legno dei banchi» (cit. A. Campana, 1953).

Prendendo le mosse dalle testimonianze pervenute, l’Ass. Cult. IMAGO ANTIQUA (www.imagoantiqua.it) guiderà i visitatori in un’appassionante esplorazione dei primi 50 anni di vita pubblica della Biblioteca, cercando di restituire corpi e volti ideali ai suoi frequentatori del Tardo Quattrocento, nonché di fornire una visione a largo spettro della dimensione quotidiana nella quale essi erano immersi.

In questo primo incontro, attraverso le repliche direttamente indossate dai Ricostruttori Storici, realizzate sulla scorta di specifici studi settoriali, sarà possibile toccare con mano (ed in alcuni casi anche provare direttamente) i capi d’abbigliamento più in voga tra gli esponenti del ceto più agiato. Si partirà dalla biancheria intima, passando ai multicolori “abiti di base”, ai copricapi ed alle acconciature, fino ad arrivare alle ricche sopravvesti.
Attraverso l’analisi di complementi d’abbigliamento e strumenti sartoriali, in parte originali, sarà inoltre possibile operare confronti e mostrare il livello di accuratezza di cui è in grado la Ricostruzione Storica, attività fondante del sodalizio promotore dell’iniziativa.

Per informazioni:
info@imagoantiqua.it ; malatestiana@comune.cesena.fc.it ; 0547 610892

 

FreccinaRiprese audiovideo – PARTE 1 di 2 (clicca e vedi)

Riprese audiovideo – PARTE 2 di 2 (clicca e vedi)


Freccina“Il Resto del Carlino” del 31.03.2019 (clicca e leggi)

ilRestodelCarlino su evento Cesena 30.03.2019

 

 

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