Articolo di MARCO VIGNOLA
Pubblicato il 13.11.2019; tutti i diritti riservati.
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In ambito ricostruttivo e accademico, una vexata quaestio ricorrente è quella della finitura superficiale delle armature: ovvero, se queste venissero effettivamente lucidate “a specchio” o se ci si limitasse ad un trattamento meno radicale, con la permanenza di chiazze e un aspetto meno riflettente.

In un simile campo, è necessario premetterlo, la prudenza è d’obbligo, perché tra tutte le tappe produttive la lucidatura ha lasciato le tracce più labili in assoluto. Mentre le geometrie dei pezzi meglio conservati sono rimaste immutate (coi segni del maglio ancora impressi all’interno delle piastre) e i processi di tempra sono identificabili con precise analisi di laboratorio, la superficie del metallo non ha invece avuto analoga fortuna. Lasciando da parte i manufatti di scavo, logicamente deteriorati dalla giacitura, le stesse armature di arsenale hanno scontato secoli d’esposizione agli agenti atmosferici, con una manutenzione costante che ne ha modificato in maniera più o meno radicale l’aspetto: sicuramente in forma più elusiva rispetto ai manufatti archeologici e perciò quasi più insidiosa.

Quando una piastra si presenta oggi lucida, ma con macchie scure più o meno diffuse, come possiamo dunque capire se tali macchie siano il “fossile” di una corrosione poi rimossa o piuttosto un resto originale di calamina, residuo del processo produttivo? Per chi abbia pratica dei manufatti antichi, la somiglianza di queste tracce risulta evidente e foriera di fraintendimenti.
In questo senso, la migliore e non rara iconografia che ritrae realisticamente la lucidatura delle piastre (per una rassegna, CLICCA QUI), non sembra conservare evidenza di questi eventuali chiazze di calamina, alimentando il sospetto che, almeno nella produzione di livello medio-alto, i residui di lavorazione venissero puntigliosamente epurati o comunque rimossi fino al punto da non essere apprezzabili, se non ad un esame molto ravvicinato.

FRANCESCO PAGANO, Polittico di San Michele, 1492 c., Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

FRANCESCO PAGANO, Polittico di San Michele, 1492 c., Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli (fonte: Google Art)

Per quanto concerne la Milano del Quattrocento, sappiamo infatti che una schiera di artigiani si dedicava esclusivamente alla “molatura” e alla nettatura delle armature, che venivano loro consegnate dagli armorari in cambio di compensi stabiliti, come dimostrano due accordi stilati il 2 gennaio 1455 e il 31 luglio 1464 rispettivamente tra 20 e 25 magistri et amoratores et traversatores armorum civitatis et ducatus Mediolani, volti appunto a fissare un prezzario comune e condiviso per la loro prestazione professionale. Non si trattava ancora della formazione di un vero e proprio paratico, attestato in alcuni rogiti solo a partire dal 1476, ma piuttosto di alcuni passi ad esso preliminari, che però risultano molto interessanti per comprendere le dinamiche dell’arte.

In particolare, nel 1455 gli aderenti a questa “società” s’impegnavano a rinunciare a qualunque concorrenza sleale, non costruendo nuove traversere e non tenendo più di una traversera per volta, chiudendo persino le porte in faccia agli armaioli morosi con qualche altro sottoscrittore dell’accordo. Si stabiliva quindi un tariffario minimo al quale tutti dovevano attenersi, nella seguente misura:

– per una corazia (qui sicuramente designante un petto-schiena in piastre), XXVI soldi imperiali

– per un paio di arnexia saldarum (difesa per la coscia ed il ginocchio), XX soldi

– per un paio di brazalium saldarum (difese per le braccia in piastra), XI soldi

– per un paio di spalaziarum saldarum (spallacci in piastre), XII soldi

– per un paio di guanti in piastra, V soldi

– per un elmetto, XX soldi

– per una celata con visiera, VII soldi

– per una celata “da cavallo” (incerta la differenza con la precedente), VII soldi

– per una celata ab oculis (forse corrispondente alla tipologia “alla corinzia”), VIII soldi

PEDRO BERRUGUETE, Ritratto di Federico da Montefeltro con Guidobaldo bambino, 1476-1477 c., Galleria Nazionale delle Marche, Urbino

PEDRO BERRUGUETE, Ritratto di Federico da Montefeltro con Guidobaldo bambino, 1476-1477 c., Galleria Nazionale delle Marche, Urbino (foto di Andrea Carloni – Rimini)

Quello che emerge in filigrana a queste carte, pertanto, è l’esistenza di un nucleo consistente di professionisti, i traversatori, che intervenivano in una fase terminale della produzione delle difese in piastra come imprenditori-artigiani autonomi rispetto agli armorari, in grado di dialogare con loro da una posizione di forza.

Nonostante le qualità meccaniche e le geometrie fondamentali dei pezzi venissero decisi a monte del loro intervento, l’importanza del loro ruolo nella filiera produttiva non deve a mio avviso essere sottovalutata. La loro maestria nel trattare la superficie del metallo sarebbe infatti apparsa evidente al compratore ancor prima delle qualità intrinseche del pezzo, aggiungendo molto all’appeal estetico del prodotto commercializzato.

Per quanto concerne le attrezzature da loro impiegate nel “mestiere”, sappiamo come già nella prima metà del Quattrocento a Milano si impiegassero mulini idraulici collegati a mole, per una nettatura ben più rapida della tradizionale pulizia manuale su panca, tramandata in numerose miniature del “Mendelschen Hausbuch” di Norimberga (segue immagine) e probabilmente mai scomparsa del tutto.

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 17 recto (Mendel I), 1425c

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 17 recto, Mendel I, 1425c (fonte: www.hausbuecher.nuernberg.de)

In una fase di grave penuria di farina, una grida della Repubblica Ambrosiana del 14 maggio 1447 imponeva infatti che entro otto giorni e per quattro miglia intorno alla città si levassero dalle traversere tutte le mole impiegate per le armi o i magli per la carta, adottando quelle atte alla macinazione del grano: segno inequivocabile di un processo meccanizzato già a quella data, in apparente anticipo rispetto all’area tedesca; la prima miniatura dell’Hausbuch che rimandi all’uso di mole idrauliche risale al 1523 (segue immagine).

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 138 recto (Mendel I), 1523

MENDELSCHEN HAUSBUCH, Amb. 317.2° Folio 138 recto, Mendel I, 1523 (fonte: www.hausbuecher.nuernberg.de)

Non è dato purtroppo di sapere se alla fase di molatura meccanica seguisse un ultimo intervento manuale “di fino”, perché a quanto pare il “traversatore” si occupava non solo delle fasi precoci della pulitura, con la rimozione del nero di forgia, ma anche della manutenzione dei pezzi già finiti, che richiedeva un approccio meno energico rispetto alla nettatura iniziale. Tra le materie accessorie impiegate nella lavorazione delle armature dobbiamo infatti ricordare lo smeriglio, pesto buono e finissimo di Milano “che tagli bene” per lucidare; smeriglio che da Milano veniva esportato e che la bottega avignonese di Francesco di Marco Datini tra fine Trecento e inizio Quattrocento vendeva anche a traversatori e maestri armaioli locali e della regione avignonese. E’ dunque verosimile (pur restando nel campo delle ipotesi) che la prima sgrossatura venisse realizzata con una o più mole di grana differente, per completare l’opera con una smerigliatura manuale.

L’utilizzo dello stesso lemma “traversare” anche per lavori di semplice manutenzione, eseguiti verosimilmente a smeriglio, è comunque ben chiaro in una lettera inviata da Antonio Missaglia al Duca di Milano il 15 gennaio 1474, nella quale rispondeva agli ordini di Galeazzo Maria circa la munizione del castello di Pavia, ove si conservavano almeno 500 armature da uomo d’arme e molte corazzine:

«…Cum grande devotione ho recevuto le vostre littere de di XIIII° del presente, per la quale vostra signoria me scrive ch’io venga a Pavia cum lingenierii necessarii, per che vostra signoria se delibera chel se faci la traversera per tenere polite larme de la vostra munitione. Unde aviso vostra signoria che ho trovato el magistro de la traversera amalato in una gamba per modo chel dice de presente non poter venire, nec altri magistri da traversera non se trova in questa parte…».

La connessione tra la pulizia delle armature e la “traversatura” di pezzi già finiti e depositati nell’arsenale è qui molto evidente, come appare anche del tutto chiara la volontà di preservare immacolata la munizione ducale. L’enfasi sul mantenimento estetico delle armature, d’altro canto, emerge anche in una precedente missiva del 29 novembre 1472, dove si legge con quanta sollecitudine si operasse perché la ruggine non rischiasse di “macchiare” (maculare) le armature:

«….In questi di passati jo andai a Pavia per vedere se a quello fondicho novo era datto principio de fornirlo secundo se richiede per conservacione de le armature che se hanno a repponere dentro, che serano armature cinquecento da battagla. Et conferendo cum el conte Zoanno, non trovandoli essere datto principio alcuno, me respose che aspectava certa risposta da Iacobo Alphero, et havita farebe tale spazamento in fornire dicto fondicho et quello bissogna per la torre, che vestra celsitudine remanerebe satisfacta. Al presente, essendo venuto qui a Mediolano et deliberando de andare a vedere se alcuno principio era facto per repparare, che tanto digna monitione non se venisse a maculare, ho inteso como el dicto conte Zohanne ha avuto el modo da vestra excelentia de fare le provisione oportune, si de lo fondicho novo como de la torre, secondo lo disegno facto per lo inzegnero, che stato la per dicta ragione cum Antonio del Missalia…».

Lo stesso Missaglia, dunque, era stato chiamato in veste di tecnico per adottare tutti i provvedimenti necessari alla conservazione di un arsenale prezioso non soltanto sul campo di battaglia, ma parimenti per il prestigio del Ducato: perché una munizione così degna “non venisse a maculare”, con sgradite chiazze di ruggine.

Un dettaglio raro ed inconsueto circa la traversatura è infine tramandato da un esempio rarissimo di superficie originale rimasta chiaramente intoccata per oltre 5 secoli, ovvero una porzione di elmetto da uomo d’arme facente parte del complesso delle Grazie di Curtatone (elmetto B4). Come racconta il Boccia, una volta rimosso il frontale per l’intervento conservativo, è infatti emersa sotto la piastra una sezione non ossidata, che ancora conservava l’originale finitura scintillante (segue immagine).

Tratto da: G. L. BOCCIA, "Le armature di S. Maria delle Grazie di Curtatone di Mantova e l'armatura lombarda del '400", Bramante Editrice, Busto Arsizio, 1982 (tav. XX)

Tratto da: G. L. BOCCIA, Le armature di S. Maria delle Grazie di Curtatone di Mantova e l’armatura lombarda del ‘400, Bramante Editrice, Busto Arsizio, 1982 (tav. XX)

Oltre a confortare l’accuratezza della migliore iconografia in merito ad una finitura “a specchio”, questo dettaglio dimostra inoltre come il traversatore operasse su pezzi smontati e il riassemblaggio finale fosse a carico dell’armaiolo, che li riprendeva in consegna dopo il trattamento.

In estrema sintesi, tornando alla vexata quaestio iniziale, iconografia e tracce materiali sembrano convergere sull’ipotesi che le armature milanesi del Quattrocento ricevessero una lucidatura a specchio, eseguita da un gruppo di artigiani specializzati proprio in questo step specifico della produzione armiera e non dagli armorari. Se questa venisse applicata all’intera gamma di prodotti o se piuttosto si limitasse a quelli di maggior pregio, resta tuttavia un quesito ancora aperto.

L’attenzione con la quale si operava perché la munizione ducale non si macchiasse e per mantenerla in buone condizioni estetiche, dimostrerebbe inoltre come tali macchie non fossero affatto viste come un blando inestetismo, ma piuttosto come un difetto da esorcizzare con ogni cura. Ben poco plausibile, pertanto, che gli armaioli milanesi accettassero di commercializzare prodotti con palesi segni esterni di calamina (per l’interno delle piastre, ovviamente, non esisteva questa cura), i quali ne avrebbero diminuito il pregio agli occhi dell’acquirente. Mentre le leggere asimmetrie di ogni manufatto antico non venivano percepite come fattore invalidante (sono ancora oggi riscontrabili anche sui pezzi di maggior pregio), le macchie di ruggine o i residui di lavorazione sarebbero invece apparsi solo come “macule” da consegnare alle sollecite cure di un traversatore e forse tollerate soltanto nella produzione più corrente…ma quella dei pezzi “da munizione” è tutta un’altra storia.

Per i dettagli bibliografici di questo contributo, che ne rappresenta una sintesi ragionata, si veda VIGNOLA M. 2017, Armature e armorari nella Milano medievale, Alessandria (CLICCA QUI).

Teatro Galli – Rimini, Piazza Cavour

Inaugurazione sabato 2 settembre, ore 18

dal 3 al 10 settembre aperto ore 10-13/16-23
dal 12 settembre al 29 ottobre aperto ore 16-19
lunedì non festivo chiuso – Ingresso Libero

Si tratta di un’esposizione intrigante e fuori dagli schemi usuali, che incrocia le celebrazioni del 600esimo anniversario della nascita di Sigismondo Pandolfo Malatesta con gli eventi del motociclismo mondiale. Ne sono enti promotori il Comune di Rimini e l’Università di Bologna.

L’idea prende spunto dai risultati di una ricerca scientifica condotta da Thessy Schoenholzer Nichols ed Elisa Tosi Brandi, accademiche di grande rilievo nell’ambito della Storia del Costume e della Moda, avente ad oggetto l’indumento forse più rappresentativo del guardaroba maschile medievale: il farsetto.

Imbottito, aderente, ergonomico, il farsetto nasce come sistema di difesa passiva per il cavaliere sotto l’armatura. Funzionale ed elegante sottostruttura, dall’ambito militare esso diventa indumento quotidiano. Indagato anche nelle sue caratteristiche sartoriali, grazie all’apporto di fonti materiali, in questa mostra il farsetto è stato paragonato ai giubbotti del motociclista.
Fulcro dell’esposizione è la collaborazione nata con il reparto “Prodotto e sviluppo” della Spidi Sport che ha analizzato e sviluppato i cartamodelli dei farsetti medievali, realizzando prototipi in pelle per nuovi indumenti.

I giubbotti ispirati ai farsetti, le ricostruzioni storiche e l’attrezzatura ultratecnologica dei piloti del MotoGP pensata e disegnata da Aldo Drudi (Drudi Performance), illustrano diversi percorsi di ricerca intrapresi da storici, protitipisti e designer sugli oggetti antichi, visti come fonti da cui trarre qualche ispirazione per migliorare prestazioni e sicurezza, offrendo una nuova immagine ai cavalieri di oggi.

L’Associazione Culturale IMAGO ANTIQUA prende parte attiva alla mostra attraverso il prestito dell’armatura di piastre appartenente al proprio membro Andrea Carloni (Presidente), posta in associazione ideale con la tuta e le protezioni da centauro realizzate da Spidi Sport su design di Aldo Drudi.  

Si tratta delle replica rigorosa di un insieme composito di fattura lombarda, conservato presso il Museo F. Gonzaga di Mantova (inv. B1 e B3) e databile, secondo le teorie oplologiche più recenti, agli anni 1475-80 circa; alcune pezze minori, essendo mancanti nell’originale – ci riferiamo più precisamente a guardareni e batticulo – sono state mutuate dalla celebre “armatura Sanseverino”, morfologicamente similare ed esposta al Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. A3).

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Si ringraziano sentitamente Elisa Tosi Brandi (Univ. Studi di Bologna) ed il Comune di Rimini, nella persona di Massimo Pulini (Ass. Cultura), per il coinvolgimento della nostra Associazione; un tributo di riconoscenza va a Tobias Capwell (curatore Wallace Collection di Londra) per la consulenza ed il supporto materiale offerti nella realizzazione dei fornimenti in maglia che completano l’armatura.

Pieghevole della mostra – Clicca per leggere/scaricare

Si è svolto in una magnifica quanto inaspettata giornata di sole l’evento didattico-divulgativo “Medioevo d’Alta Quota”, tenutosi lo scorso 20 settembre negli alpeggi di Vione (BS), in Alta Val Camonica.

Ottima l’affluenza degli abitanti dei paesi limitrofi, ma anche di famiglie ed escursionisti, giunti da tutta Italia per godere della cornice naturale mozzafiato offerta dal comprensorio dell’Adamello ed immergersi per qualche ora nella sua storia secolare.

Didattica

Divulgazione e didattica alle “Case di Bles” (2080 mt.)

La visita ha preso il via dagli scavi archeologici presso il Castello di Tor dei Pagà e si è conclusa al “Rifugio Case di Bles”, struttura gestita dal C.A.I Manerbio. Nelle immediate vicinanze di quest’ultima, i Ricostruttori Storici di IMAGO ANTIQUA hanno preso possesso di un’antica baita in pietra locale e sono rimasti impegnati, fin quasi al tramonto, nel ricostruire un ideale spaccato del vissuto quotidiano del tardo Quattrocento, in questi luoghi tipicamente incentrato su attività di sussistenza come caccia, allevamento (perlopiù ovo-caprino) e raccolta di frutti del sottobosco.

Mazze da tamburo

Mazze da tamburo raccolte nel bosco confinante

Il pubblico ha trovato di particolare interesse il confronto diretto tra le repliche utilizzate dal vivo dai nostri membri ed alcuni reperti databili tra tardo XIII e primo XV secolo, rinvenuti presso lo scavo del Castello ed ora esposti nel Museo Etnografico dell’Alta Valle Camonica “‘L Zuf” di Vione (BS): trattasi, nella fattispecie, di cuspidi per dardi da balestra ad uso bellico, di una borchia da cintura di foggia floreale e di frammenti vitrei pertinenti ad un bicchiere a bugne.

CLICCA QUI per vedere un contributo del nostro Consigliere, il Dott. Marco Vignola, inerente ai manufatti metallici emersi in loco.

Ricostruzione di cintura con fibbia a "D" e borchie floreali (IMAGO ANTIQUA)

Ricostruzione di cintura con fibbia a “D” e borchie floreali (IMAGO ANTIQUA)

 

Ricostruzione di dardi da balestra in ferro forgiato (IMAGO ANTIQUA)

Ricostruzione di un dardo da balestra e di una “bodkin” da arco (IMAGO ANTIQUA)

Oltre a mostrare una rappresentanza di oggetti e vestiario, abbiamo offerto una dimostrazione di tiro con la balestra ed illustrato potenzialità e limiti di un’armatura di piastre, corredata di cappello d’arme, pezzi in questa occasione appositamente scelti tra tipologie di ascendenza austro-germanica, per via delle influenze d’Oltralpe subite dai territori camuni durante il Tardo Medioevo. Entusiasti i bambini, che hanno posto ogni genere di domande, sperimentando anche l’utilizzo di alcune delle dotazioni da noi impiegate.

Armatura e balestra in stile germico

Balestriere del tardo XV sec. con protezioni in piastra

Per l’ora di pranzo, inoltre, la Dott.ssa Giovanna Bellandi, nostro contatto sul posto, ha cucinato due pietanze ricostruite secondo ricettari autentici del XIV e XV secolo, sotto la diretta supervisione di Silvia Ballabio, nostro Segretario e Responsabile Cucina. Gli avventori hanno così potuto gustare deliziosi “funghi saltati alle spezie” (Anonimo Toscano, Libro de la cocina; MS 158, BUB) ed una invitante “zuppa di ceci” (Mastro Martino da Como, Libro de arte coquinaria; MS Urbinate Latino 1203, BAV), scoprendo i principi sottostanti ai dettami culinari dell’epoca.

Cibo

Alcuni cibi “filologici” consumati durante l’evento dai ricostruttori storici di IMAGO ANTIQUA


Il lavoro di IMAGO ANTIQUA è stato molto apprezzato e giudicato efficace anche dal Prof. Marco Sannazaro
, stimato docente di Archeologia Medievale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sedi di Milano e Brescia), il quale ha presenziato all’evento in qualità di patrocinante del progetto “Vione Archeologica”.

Invitiamo coloro che volessero ricevere ulteriori delucidazioni sulle nostre attività ad inviarci una e-mail all’indirizzo info@imagoantiqua.it 

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