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In data 30 marzo 2019 abbiamo realizzato, con grande soddisfazione generale, il progetto di varcare in abiti del Quattrocento le soglie quasi sacrali di un vero e proprio tesoro internazionale dell’architettura e della cultura umanistica, muovendoci al suo interno alla stessa maniera dei suoi originari avventori. Stiamo parlando dell’AULA NUTI presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, patrimonio UNESCO dal 2005.

Oggi sappiamo per certo che, già in antico, essa fu frequentata anche da diverse donne, stando ai numerosi graffiti presenti su intonaco e banchi, recentemente oggetto di studi settoriali : tra i tanti, compaiono i nomi Zoanna, accompagnato dalla data 1478, e per ben 14 volte quello di Lucretia, con ogni probabilità identificabile in Lucrezia Borgia, che fonti consolidate riferiscono in transito a Cesena, assieme ad un folto seguito, il giorno 24 gennaio 1502. 

Grazie alla squisita cortesia della Dott.ssa Paola Errani, Responsabile Biblioteca Antica e Fondi Storici, che ci ha consentito di prelevare e visionare dal vivo, direttamente sui plutei lignei, una selezione di preziosi manoscritti e codici miniati, abbiamo assaporato momenti di integrale abbandono nell’atmosfera del tardo XV secolo.

Era la prima volta che una simile opportunità veniva concessa ai praticanti della Ricostruzione Storica. Poichè sarebbe stato limitativo viverla in pochi, abbiamo deciso di condividerla con altri reenactors di lunga data, che hanno collaborato al nostro fianco con encomiabile disponibilità e dedizione.
A ciascuno di loro va il tributo di riconoscenza di tutta IMAGO ANTIQUA!

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Organizzazione evento: Ass. Cult. IMAGO ANTIQUA


PARTECIPANTI

Imago Antiqua
Silvia Ballabio
Andrea Carloni
Marco Vignola

I Fanciulli e la Corte di Olnano
e Compagnia dell’Istrice

Alberto Antonelli
Daniele Fabbri
Ettore Pazzini

Singoli re-enactors
Ylenia Borgonovo
Alessio Orlandi
Renzo Semprini

Ringraziamo sentitamente anche la Compagnia di San Martino, nelle persone di Filippo Vannini ed Erika Tamburini, per il prestito di alcuni capi d’abbigliamento utilizzati per l’occasione.

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Uno slideshow dedicato all’evento da noi organizzato è stato inserito nella “Storia per immagini” realizzata nel maggio 2020 dalla Dott.ssa Carla Rosetti, contributo che intende ripercorrere tappe e personaggi salienti legati alla Biblioteca Malatestiana:

Per vedere un breve slideshow
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La Biblioteca di Malatesta Novello, Signore di Cesena

di Paola Errani
Responsabile Biblioteca Antica e Fondi Storici

Articolo specificamente realizzato per IMAGO ANTIQUA

Alla metà del Quattrocento, sotto la signoria di Malatesta Novello, Cesena conosce un momento di straordinario splendore artistico e culturale, che culmina nel grande cantiere della Biblioteca.

La sua fondazione si deve alla volontà congiunta di Malatesta Novello, signore di Cesena dal 1433 al 1465, e dei frati francescani, che avevano in animo di costruire una biblioteca ad uso del loro Studium, attivo già da decenni, e che per questo scopo avevano ottenuto dal papa Eugenio IV il permesso di utilizzare un lascito testamentario. Dal 1450 è documentato l’intervento di Malatesta, che fa erigere una splendida sala all’interno del convento in cui alloggiare la biblioteca, monumento perenne per sé, la sua famiglia ma anche per la città.

L’edificio è opera del fanese Matteo Nuti, Dedalus alter, come si legge nell’epigrafe posta a lato della porta d’ingresso, ma una suggestiva ipotesi attribuisce il progetto architettonico a Leon Battista Alberti, che negli stessi anni in cui viene eretta la Malatestiana si trova a Rimini, alla corte di Sigismondo Malatesta, fratello di Malatesta Novello, per il quale edifica il Tempio malatestiano.

Terminati i lavori nel 1452, la biblioteca viene “inaugurata” ufficialmente “a dì 15 d’agosto 1454”, data che si legge incisa sulla splendida porta lignea d’ingresso, che reca gli stemmi malatestiani e il nome dell’intagliatore, Cristoforo di San Giovanni in Persiceto.

Al di sopra della porta, inserito nel timpano, campeggia il bassorilievo dell’elefante, emblema dei Malatesti, con il motto Elephas Indus culices non timet (L’elefante indiano non teme le zanzare).

Dal punto di vista architettonico la Malatestiana si ispira al modello realizzato da Michelozzo a Firenze nella biblioteca di San Marco voluta da Cosimo de’ Medici: la sala presenta una pianta basilicale, suddivisa in tre navate da due file di dieci colonne ciascuna, ed è illuminata da ventidue finestrine su ogni lato e da un rosone sulla parete di fondo, che distribuiscono uniformemente la luce.

Stemmi malatestiani sono presenti nel plutei e sui capitelli, e il nome di Malatesta Novello ritorna nell’iscrizione inserita nel pavimento in ogni campata, accompagnato da quel dedit (diede), che rinnova la memoria del donatore.

Nelle navate laterali due file di 29 plutei ciascuna, contengono i libri, che sono il fondamento della Biblioteca.

Malatesta Novello integra il preesistente fondo conventuale, costituito nel suo complesso già nel Trecento e comprendente le Sacre Scritture, testi di teologia e di filosofia, raccolte enciclopediche, con i manoscritti prodotti nello scriptorium da lui fondato. Scriptorium che nell’arco di vent’anni circa (dal 1446 al 1465) produce 126 codici con le opere dei classici greci e latini e dei Padri della Chiesa. La biblioteca viene completata dalla raccolta di 119 codici donata dal medico del Novello, Giovanni di Marco da Rimini, comprendente testi di medicina, astronomia, scienze naturali, ed è arricchita dagli acquisti fatti dal Novello di codici greci ed ebraici.

Già la scelta linguistica qualifica l’idea di biblioteca che Malatesta Novello voleva realizzare: nella raccolta entrarono solo volumi in latino, greco, ebraico, la cui presenza dà espressione concreta a quel concetto delle tre lingue che è motivo essenziale della cultura del Rinascimento. La raccolta quindi realizza compiutamente la cultura, i gusti, le passioni di questo principe del Quattrocento, che si ispira ai canoni della civiltà umanistica.

L’interesse universale della Malatestiana è ribadito dalla scelta di destinare la raccolta ad uso pubblico sotto il controllo delle autorità cittadine. E quindi la Malatestiana pur essendo nata come “libraria Domini”, biblioteca signorile, per essere stata affidata dallo stesso Malatesta Novello al Comune e destinata ad uso pubblico, diventa una delle più antiche biblioteche pubbliche d’Europa. Alla municipalità sono affidate dal principe la cura e la tutela della biblioteca, anche se il custode bibliotecario è scelto tra i frati del convento: di questa doppia custodia sono simbolo le due chiavi con cui si apre la porta, e che furono conservate sino alla fine del Settecento ciascuna presso le due istituzioni. Ora le chiavi sono entrambe custodite presso la Biblioteca.

Il vigile controllo esercitato dal Comune nei secoli è uno dei principali fattori che hanno determinato la straordinaria conservazione della biblioteca in tutti i suoi elementi, permettendole di superare indenne la fine della dominazione dei Malatesti, la soppressione in età napoleonica del convento francescano che la ospitava, e tanti altri momenti difficili della sua storia.

Mentre collezioni anche più importanti sono andate disperse nel corso del tempo, ancora oggi i 340 codici sono al loro posto come cinque secoli fa, legati ai banchi dalle loro catenelle quattrocentesche, né è mutata la loro disposizione.

Oggi l’antica ‘libraria’ è inglobata nella biblioteca moderna, di cui costituisce la radice e l’anima, espressione perenne della volontà di Malatesta Novello di dare alla sua città una biblioteca pubblica. La Malatestiana è il maggior motivo d’orgoglio per Cesena ed è un simbolo amato con eccezionale fedeltà dai cesenati: l’iscrizione della Biblioteca nel Registro della Memoria del Mondo, avvenuta nel 2005, rafforza in particolare il senso di responsabilità della città nei confronti di questo patrimonio, e l’impegno nel conservarlo e valorizzarlo, e a renderlo sempre più accessibile e fruibile alla collettività.

A Rimini, presso il Castel Sismondo, nei giorni 27-28-29 Ottobre 2017 avrà luogo l’evento “I CASTELLI IN EPOCA MALATESTIANA. RESIDENZA E DIFESA IN ITALIA TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO”.

Promotore dell’iniziativa in argomento, assieme al Comune di Rimini, è l’Istituto Italiano dei Castelli. Si tratta di un’organizzazione culturale senza scopo di lucro, nata nel 1964, che svolge la sua attività essenzialmente su quattro fronti:

1. Lo studio storico, archeologico e artistico dei castelli e dei monumenti fortificati.
2. La loro salvaguardia e conservazione.
3. L’inserimento delle architetture fortificate nel ciclo attivo della vita moderna.
4. La sensibilizzazione scientifica e turistica dell’opinione pubblica.

Il PROGETTO nasce dall’idea di celebrare la Figura di Dino Palloni, nella sua città, a cinque anni dalla prematura scomparsa.
Nell’ambito dell’Istituto Italiano dei Castelli fu un instancabile studioso e storico delle fortificazioni e promotore del “Gruppo Giovani” denominato successivamente “Gruppo di Studio della Sezione Emilia Romagna”. La concomitanza dell’iniziativa con le celebrazioni Malatestiane, promosse dall’Assessorato alle Arti del Comune di Rimini, hanno reso possibile l’ideazione di un progetto culturale di forte valore scientifico che si pone l’obiettivo di valorizzare il patrimonio castellano legato all’influenza malatestiana mettendolo in relazione con esempi di carattere nazionale attraverso un approccio scientifico e divulgativo volto ad analizzare non solo gli aspetti architettonici, ma anche quelli politici, militari e sociali.

L’EVENTO proposto si compone di diverse sezioni e sessioni dedicate a promuovere ad un pubblico specialistico, ma anche e soprattutto ai cittadini riminesi, l’immenso patrimonio culturale rappresentato da Castel Sismondo e dal sistema difensivo malatestiano.
Il Castello di Rimini, sarà oggetto di interessanti relazioni legate alla storia, ai restauri e alle recenti scoperte archeologiche.
Il Castello verrà inoltre presentato al pubblico attraverso un ciclo di visite guidate finalizzate a far conoscere gli aspetti storici e castellologici con il supporto di ricostruzioni storiche, ad alto livello qualitativo, proposte da Associazioni del territorio riminese che ricostruiranno, sulla base di dati storici, alcuni ambienti della fortezza al tempo di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Anche la città ed il suo territorio saranno al centro delle tematiche proposte attraverso contributi focalizzati a evidenziare elementi di novità come nei casi di Porta Galliana, e di altri contesti malatestiani, in città e nel territorio.

In occasione delle iniziative culturali, promosse dal Comune di Rimini e dall’Istituto Italiano dei Castelli, sarà possibile visitare gratuitamente Castel Sismondo attraverso due proposte di visita guidata dedicate alla storia della più importante fortezza malatestiana.

Le VISITE GUIDATE saranno di due tipologie:

– Il percorso di visita “A” proposto dal Gruppo di Studio “Dino Palloni” della Sezione Emilia Romagna dell’Istituto Italiano dei Castelli, sarà dedicato alla storia dell’edificio attraverso le sue fasi costruttive e le sue caratteristiche difensive nel rapporto con l’architettura militare del Rinascimento italiano. Durante il percorso sarà possibile visitare anche la sala didattica dedicata ai castelli dei Malatesta. Ai visitatori verrà fornita una scheda tecnica conoscitiva al fine di poter meglio comprendere i temi proposti. La durata della visita sarà di circa novanta minuti.

– Il percorso di visita “B” organizzato dall’Associazione Culturale COMPAGNIA DI SAN MARTINO e in collaborazione con l’Associazione Culturale IMAGO ANTIQUA, approfondirà gli aspetti di vita quotidiana, militare e civile, attraverso un racconto caratterizzato da alcune ricostruzioni di ambienti del castello dove attraverso momenti di animazione storica e didattica sarà possibile approfondire temi dedicati alla difesa delle roccaforti rinascimentali con focus dedicati alle armi e alla guarnigione. Verranno ricostruiti anche alcuni ambienti nobiliari dove si potranno incontrare alcuni personaggi della corte di Sigismondo Malatesta.

Per tutti i dettagli, anche con riferimento a giorni e orari delle visite guidate, CLICCA QUI 

 

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Vivere un’esperienza venatoria di grande intensità, seguita da una meritata pausa in un ambiente di raffinata accoglienza. Attorniati dal tepore del camino, rigenerati da un pasto frugale seguito da momenti di gioco e di manutenzione delle armi da getto: più o meno così doveva svolgersi un giorno di “relax” presso il Casino di Caccia Borromeo a Oreno di Vimercate, nel Ducato di Milano di metà ‘400.

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Ringraziamo sentitamente il Conte Alessandro Borromeo per averci consentito di realizzare un analogo spaccato di vita quotidiana all’interno della sua splendida proprietà.

Più precisamente, la Ricostruzione Storica di IMAGO ANTIQUA (clicca per vedere tutte le foto) si è tenuta all’interno della torre di impianto trecentesco ubicata a nord-ovest del complesso della cosiddetta Corte Rustica, ampliata nel tardo XV secolo e legata alla famiglia dei De la Padella, come peraltro testimoniato da alcuni stemmi araldici “parlanti” che campeggiano sulle pareti interne, interamente affrescate entro la prima metà del secolo.

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Il rinvenimento di tali affreschi, ispirati al tema venatorio e dell’amor cortese, avvenne nel 1927 in modo del tutto casuale, ad opera del Conte Gian Carlo Borromeo, padre dell’attuale proprietario; i lavori di ripristino furono portati a termine sotto la direzione del Prof. Mauro Pelliccioli, dell’Accademia di Brera.

L’autore, tuttora ignoto, secondo buona parte della critica è da porre in stretta relazione con la corrente stilistica degli Zavattari e del Ciclo dei Giochi di Palazzo Borromeo a Milano (F. Wittgens, 1933).

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Chi desiderasse approfondire la storia del sito, può consultare la scheda curata dalla Regione Lombardia: RINVIO ALLA SCHEDA (cliccare)

Un set fotografico dedicato agli affreschi è stato realizzato da Andrea Carloni, Presidente di IMAGO ANTIQUA: RINVIO ALLE IMMAGINI (cliccare)

Alla fine del mese di Ottobre 2014, IMAGO ANTIQUA ha avuto la preziosa opportunità di realizzare un allestimento del tardo Quattrocento all’interno dell’antico Monastero di Mezzano Scotti, nei pressi della più nota città di Bobbio (PC).

Foto articolo Luisa

Archivio Fotografico IMAGO ANTIQUA (2014) – Ricostruzione a Mezzano Scotti

L’evento, che ha inteso offrire un ideale spaccato di vita domestica nell’epoca in cui il sito era oggetto di commenda, sotto il governo sforzesco, si è inserito all’interno di un più ampio progetto di recupero del patrimonio storico-edilizio dell’antico borgo della Val Trebbia, culminato in una tesi di laurea discussa dalla Dott.ssa Manuela Ruggeri presso la Scuola Politecnica – Dipartimento di Scienze per  l’Architettura dell’Università di Genova.

Tale studio, con gli opportuni riadattamenti, è stato dato alle stampe per i tipi di Pontegobbo Editore nel giugno 2015, con il titolo Il Monastero di Mezzano Scotti di Bobbio. Progetto di recupero (collana “Itinerari di Natura e d’Arte”; ISBN 978-88-96673-58-4) e vede a pag. 54 un’immagine scattata durante la ricostruzione di interni curata dalla nostra Associazione. 

Copertina della tesi di laurea a cura di Manuela Ruggeri, discussa nel 2014 c/o l'Università di Genova

Copertina dello tesi di laurea della dott.ssa Manuela Ruggeri, discussa nel 2014 presso l’Università di Genova

 

L'immagine della nostra ricostruzione apparsa a p. 54 del saggio a cura di Manuela Ruggeri

IN ALTO, l’immagine della ricostruzione IMAGO ANTIQUA, a p. 54 della pubblicazione a lato

 

IMAGO ANTIQUA auspica di poter prender parte, negli anni venturi, ad ulteriori iniziative di valorizzazione ambientale nel comprensorio di Mezzano, coinvolgendo sia i cittadini che le Scuole locali.

Senza dubbio è di sprone ad un crescente impegno in tal senso la proficua collaborazione da noi instaurata con la disponibilissima Dott.ssa Luisa Follini, proprietaria di gran parte dell’ex complesso monastico di S. Paolo, che sta letteralmente mettendo anima e corpo per la miglior riuscita di questo entusiasmante quanto ambizioso progetto.

 

Articolo di LUISA FOLLINI (agosto 2015)
follinlu@supereva.it

Mezzano Scotti sarebbe un paese da scoprire, ma, tutto sommato, pare tenga ben poco a essere scoperto. Probabilmente per non perdere quella sua atmosfera di pace e riservatezza che lo contraddistingue e la qualità di vita dei suoi affezionati abitanti.

Vi si può grandemente apprezzare il bucolico contatto con la natura, il tranquillo succedersi delle giornate, la dimensione più famigliare che paesana della vita sociale, la vicinanza con la città di Bobbio (6 km) con le sue tante iniziative culturali e di svago, il fatto di essere lambito dalle limpidissime acque del fiume Trebbia e di trovarsi giusto in mezzo a due formazioni rocciose di grande interesse geologico: Pietra Parcellara e l’orrido di Barberino, uno dei luoghi più suggestivi di tutta la provincia. E’ situato in una conca fertile, da sempre il granaio del circondario. La sua esposizione soleggiata fa sì che vi si possano compiere anelli di passeggiate sempre al sole, apprezzatissime in inverno, tanto da essere stato definito da un gruppo di camminatori “la Caraibi della Val Trebbia”.

E’ un paese di antiche origini, ricco di storia e di… misteri. Probabilmente già esistente in epoca romana, ebbe un fortunato sviluppo con l’avvento dei Longobardi quando vi sorse un’abbazia dedicata a San Paolo, i cui resti, rimaneggiati nei secoli, sono conglobati in abitazioni private. Il periodo preciso della fondazione è ammantato di mistero. Il primo documento che ne cita i confini, parlandone come di un’istituzione già esistente e ben nota da tempo, è del 714.

La maggior parte degli storici collega la sua fondazione alla diaspora dei monaci di Bobbio, cui l’abate Attala, succeduto alla guida dell’abbazia nel 615 alla morte di Colombano, tentò di opporsi, ma che infine accettò lasciando i monaci liberi di disperdersi in “Maritima” e sulle montagne per seguire liberamente la loro vocazione di apostolato tra le genti.

E’ abbastanza curioso che due istituzioni monastiche sorgessero così vicine, ad appena 6 km di distanza, se non fosse proprio il “modus operandi” di Colombano che a Luxeuil e in altri siti europei già si era avvalso di analoghi criteri. Anche i vastissimi possedimenti fondiari dei due monasteri di Bobbio e di Mezzano, distribuiti a macchia di leopardo in Italia settentrionale e centrale lungo la via francigena, erano tra loro confinanti, “come due fratelli che si spartiscono l’eredità paterna”, annota il prof. Nuvolone.

Entrambi i monasteri vi svolgevano la stessa identica funzione di ricovero, sostegno e cura dei pellegrini in marcia verso i “loca sacra” della cristianità. Avevano anche lo stesso “status” giuridico di monasteri regi direttamente dipendenti dall’autorità pontificia. Il monastero di S. Paolo perse la sua indipendenza con papa Pasquale III (1099-1118) che lo sottopose alla diocesi piacentina.

Nel X secolo i monasteri di Bobbio e di Mezzano caddero in potere del marchese Oberto. Mentre Bobbio, grazie all’abate Gerberto di Aurillac, che divenne poi papa Silvestro II (il papa dell’anno mille), riuscì a riscattare buona parte del patrimonio monastico, Mezzano rimase sottomesso ai discendenti obertenghi locali, ovvero i marchesi Malaspina, che nel 1186 ottennero dall’imperatore Federico I la giurisdizione feudale con il titolo comitale su tutti i territori di pertinenza monastica.

L’ubicazione del monastero di S.Paolo, più che strategica per essere di passo verso Liguria, Lombardia, Piemonte e Toscana, ne faceva uno snodo viario della massima importanza. Vi transitavano truppe, pellegrini provenienti spesso dal nord Europa, mercanti. Attorno a Compiano, dipendente da Mezzano, un grosso mercato, già attivo dall’epoca romana, favoriva scambi commerciali tra la riviera e i territori interni. La vicinanza con la ben più famosa abbazia di Bobbio certamente oscurò le vicende del monastero del Mezzano, che rimane comunque una delle istituzioni più importanti dell’Alto Medioevo.

Attorno al monastero si formò il paese. Gran parte delle sue abitazioni mantengono tutt’oggi collegamenti tra le loro cantine, qua e là tamponati, a testimonianza di un unico progetto costruttivo.

Ben presto l’Abbazia mezzanese entrò nelle mire espansionistiche dei Fieschi. Tra loro si annoverano vari abati. Il più famoso è Opizzo Fieschi, conte di Lavagna, nipote di papa Innocenzo IV, che, sempre da abate del Mezzano, fu incaricato di un’importante missione diplomatica in Polonia, Russia, Slesia e Prussia, con l’incarico di organizzare una Crociata contro i Tartari e di incoronare il principe russo Daniele. Successivamente Opizzo Fieschi fu eletto, nel 1247, patriarca di Antiochia in Siria. Pur indirettamente Mezzano si è trovato quindi inserito in eventi di caratura internazionale. A livello locale invece, l’abbazia di S. Paolo, avamposto guelfo nella ghibellina Valtrebbia, era in balia delle feroci lotte tra le due contrapposte fazioni politiche. Ragioni difensive indussero, giusto in quei tempi, la sua trasformazione in castello (così è citato in vari rogiti, con tanto di porta sottana e soprana), attraverso la costruzione di mura, fossati, spalti. Stessa sorte capitò ad altri monasteri di campagna.

I tempi erano così insicuri che i pochi monaci superstiti del Mezzano preferirono ritirarsi nel torrione di Cà Donica, “a un tiro di balestra da Mezzano”. Una galleria sotterranea, tanto ampia da lasciarvi passare dei cavalli, collega tuttora Cà Donica a Mezzano, passando sotto il rio Dorba, ma non è più percorribile. Se ne conosce l’imboccatura, ora chiusa, non il punto di arrivo. La sua documentata esistenza e il suo tracciato ormai perso sono comunque di stuzzicante stimolo alla fantasia.

Verso la fine del XIII secolo un ramo della potente famiglia guelfa piacentina degli Scotti ottenne in enfiteusi la maggior parte delle terre del monastero, e diventò la vera dominatrice della vallata, in netta contrapposizione agli interessi abbaziali.

Intorno al 1320 il castello di Mezzano fu distrutto, di certo per mano ghibellina. Davide Scotti, allora capitano a Mezzano, lo fece ricostruire, autorizzando ai lavori gli abitanti di Aglio in val Perino.

Nel XV secolo si accentuò la decadenza del monastero quando i duchi di Milano – Visconti e Sforza – da cui dipendeva il territorio piacentino, concedettero in godimento i beni del monastero a parenti e funzionari col titolo di abati commendatari, interessati più a intascare personalmente le rendite che dedicarle alle esigenze del culto. Gli Scotti, ottenuta l’investitura feudale di Mezzano dai duchi di Milano, ne approfittarono subito per imporre tasse, mal digerite e contestate, a tutti i fittabili del monastero. Al commendatario risultava quindi sempre più difficile raccogliere da fittavoli ed enfiteuti quanto gli spettava. Fu così che l’ultimo commendatario, Girolamo Becchetti, rinunciò al suo beneficio in cambio di una più sicura rendita vitalizia.

La bolla papale di Giulio II dell’11 febbraio 1507 sancisce la definitiva soppressione del monastero di Mezzano e l’aggregazione dei suoi beni al monastero di S. Maria della Passione di Milano.

Davide Scotti (ritorna il nome dell’antenato), vero brigante feudale, indusse con le più svariate ostilità i monaci milanesi a svendere, più che vendere, le proprietà del monastero. Ma non pagò mai il pattuito, per cui i monaci ne chiesero e ottennero la restituzione. Trovarono un nuovo acquirente nella persona del conte Antonio Caracciolo, che si stabilì proprio nella sede dell’antico monastero, che divenne, anche per i suoi discendenti, un’accogliente dimora di campagna. Nel 1636 l’ex complesso monastico subì il saccheggio delle milizie bobbiesi, mentre nel 1806 insieme alla chiesa parrocchiale sfuggì all’incendio del paese decretato da Napoleone. A metà ottocento i Caracciolo lo vendettero agli attuali proprietari che ancora ne detengono la maggior parte.

Un piccolo mistero è nel nome del paese. Mezzano indica ovviamente una terra di mezzo, ma sull’appellativo Scotti circolano diverse ipotesi. Chi lo collega all’omonima famiglia feudataria e chi invece agli “scoti” o “scotti”, ovvero ai monaci provenienti dall’Irlanda, che, pare, lì si allocarono fin dal VII secolo sistemandosi in un luogo appositamente dedicato ove poter svolgere il proprio ministero secondo le proprie rigide regole e convinzioni.

Curioso comunque che il nome era “Mezzano Scotto”, fino al 1927, quando la frazione si scorporò da Travo per confluire nel Comune di Bobbio

Indubbia è l’antichità del paese. Quando agli inizi del VII secolo tutta la zona era una fitta boscaglia in cui si stagliavano solo quelli che ora sono i centri storici di Piacenza, Milano, Pavia, Cremona, Genova, ben inserito tra queste rinomate località c’era anche Mezzano. Il suo monastero era lì a svolgere un’importante funzione politica, sociale, umanitaria, per di più a valenza europea. Cosa non da poco.

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