Articolo di ANDREA ROMITO
Pubblicato il 27.11.2024; tutti i diritti riservati.

Nel Quattrocento italiano si assiste ad un grande fermento artistico e culturale. La bellezza e l’eleganza erano ricercate in ogni ambito della vita ed in questo contesto la tintura giocò un ruolo fondamentale nel campo del costume, permettendo di ottenere tessuti e abiti dai colori sgargianti e dalle sfumature raffinate.

Contrariamente alla credenza popolare, infatti, che vorrebbe restiturci l’immagine di un Medioevo buio e monocromo – idea troppo spesso enfatizzata ed esasperata dalla cultura cinematografica – in tale periodo il colore assumeva un’importanza che potrebbe definirsi paradigmatica, senza dubbio assai di più di quanto non sia vero oggigiorno.

Ci basti esaminare la miriade di rappresentazioni iconografiche disponibili per notare l’ampia gamma di colori che era possibile sfoggiare: dal bianco al nero, passando per rossi, gialli, verdi, blu di ogni gradazione ed intensità.

LORENZO DA VITERBO E AIUTI, Sposalizio di Maria Vergine, 1469; Cappella Mazzatosta, Chiesa di S. Maria della Verità , Viterbo [copyright A. Carloni, 2017]

Scendendo ad un ulteriore livello di approfondimento e considerando le fonti documentali, gli inventari post-mortem forniscono sostanziali conferme di quanto testimoniato dalle espressioni artistiche.

Seguono alcune citazioni estratte da filze notarili databili tra fine XIV e inizi XVI secolo, conservate presso l’Archivio di Stato di Rimini, città nella quale ha sede la nostra associazione [1]:

– una chotta de monaghino (ndr, una veste femminile estiva di color scuro, tendente al rosso); 1393, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Pietro di Giovanni da Imola, filza 5

unum par caligarum panni azurini (ndr, un paio di calzature di lana azzurra); 1426, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Francesco Paponi, filza 11

un paro calze solade vermeglie (ndr, un paio di calze solate color vermiglio); 1437, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Bartolo Venerandi, filza 1

unum gabanum panni paunazii (ndr, un mantello di lana violacea); 1438, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Francesco Paponi, filza 22

una camurra de panne verde cum manighe vermeglie (ndr, una veste femminile di lana verde con maniche color vermiglio); 1462, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Gaspare di Donato Fagnani, filza 13

uno giuparello de veluto crimisino (ndr, un farsetto di velluto cremisi); 1475, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Bartolomeo di Sante, filza 12

una cappa de seda nera a la veneciana da donna (ndr, un mantello femminile di seta nera alla veneziana); 1498, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Nicolino Tabellioni, filza 7

– una beretta rossa… ;1500, Archivio di Stato di Rimini A/1, Fondo notarile di Rimini, Notaio Silvio di Gal. Medaschi, filza 5


Appurato che il Medioevo era esplicitamente un mondo a colori, come si tingeva nel XV secolo? Quali erano le cromie più in voga e quali segreti circolavano nelle botteghe dei tintori?

Per rispondere a queste domande dobbiamo immergerci nelle fonti indirette e nello specifico analizzare i manuali di tintoria a noi pervenuti. Esempi preziosi sono il Plichto de larte de tentori e L’Arte della Seta in Firenze, entrambi redatti da autori anonimi con sorprendente accuratezza nel tramandare per via empirica i principi chimico-fisici sottesi alle ricette dell’arte tintoria coeva.

Il Plichto fu edito a Venezia da Giovanventura Rosetti nel 1540 [2]; quanto al secondo, pare che il primo manoscritto originale sia verosimilmente da collocare all’inizio del ‘400 [3].

Trattati di tintura [copyright A. Romito, 2024]

Seppur le fonti offrano il substrato fondamentale per avviare uno studio sistematico delle gamme cromatiche, un ricostruttore storico è chiamato ad interrogarsi su come effettivamente apparissero i colori dei capi d’abbigliamento indossati nella propria epoca di riferimento.

Occupandoci della seconda metà del XV secolo, occorre chiarire se sia sufficiente affidarci a dipinti ed affreschi per riprodurre con cognizione di causa il guardaroba di un ipotetico cittadino del Centro-Nord Italia, sia esso nobile, borghese o popolano.

Non è da tralasciare un primo fattore: i pigmenti utilizzati dagli artisti sono in gran parte diversi da quelli impiegati nella tintura dei tessuti. Che si parli di tavola o affresco, perlopiù la loro origine era minerale e non vegetale/animale. Inoltre, se da un lato le rese cromatiche variano da autore ad autore, anche tralasciando il livello di maestria del singolo, dall’altro anche il naturale decadimento varia col passare del tempo, per cui la cromia che noi oggi osserviamo nella tale opera potrebbe ben non corrispondere all’intendimento originario dell’artefice.

Sul piano tessile, lo stesso supporto su cui il pigmento viene applicato ha una resa diversa, a parità di bagno di tintura: è emblematico il caso del tessuto di cotone, che mostra un grado di assorbimento e di resa molto diversi rispetto a quanto si osserva nella seta e nella lana.

La sperimentazione empirica del Ricostruttore Storico si affianca alla ricerca iconografica e documentaria completandole, mostrando la sua fondamentale importanza nel momento in cui impiega le medesime materie prime ed i procedimenti originali, secondo quanto descritto nei manuali: nei prossimi articoli di questa serie entreremo nel dettaglio dei test da noi effettuati, approfondendo i pigmenti usati e le tecniche di preparazione dei tessuti, senza tralasciare gli impatti socio-economici che permeavano l’attività di un tintore medievale, nonchè il “codice dei colori” che regolava il costume quattrocentesco e tanto altro ancora…

Filati tinti al naturale dall’autore dell’articolo, membro dell’Ass. Cult. IMAGO ANTIQUA [archivio fotografico www.imagoantiqua.it – copyright A. Carloni, 2024]

NOTE:

[1] O. DELUCCA, La casa riminese nel Quattrocento. La casa Cittadina, vol. 2, Stefano Patacconi Editore, Rimini (2006).

[2] G. ROSETTI, Plictho de larte de tentori che insegna tenger pani telle banbasi et sede si per larthe magiore come per la comune, Rampazetto, Venezia (1540)

[3] G. GARGIOLLI (a cura di), L’arte della Seta in Firenze, G. Barbera Editore, Firenze (1868).

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