Articolo di MARCO VIGNOLA
Pubblicato il 20.10.2018; tutti i diritti riservati.
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La rassegna dei documenti sul duello tra Scaramuccia e “il Prete” si conclude con due lettere del 14 e del 23 febbraio 1472, nelle quali il primo rifiuta nettamente l’invito ad un combattimento appiedato.
Non possiamo oggi sapere se lo sdegno dell’uomo d’arme calabrese derivasse da un moto d’orgoglio e “di classe”, considerando più vile il ruolo del fante rispetto a quello del cavaliere, o se invece celasse qualche carenza tecnica nello scontro a piedi. Appare tuttavia chiara una certa “escalation” dei toni quando nella lettera del 14 febbraio si accusa esplicitamente Iacopo di codardìa, giocando su sottili metafore cinofile.
Il fuggire dalla “scolla” deve con ogni probabilità intendersi come una “fuga dal guinzaglio” (il termine “scolla” in alcuni dialetti meridionali indica oggi la cravatta, avendo forse preso questo significato per similitudine al guinzaglio dopo la sua diffusione a partire dal XVII secolo1), dipingendo il “Prete” come un vile desideroso di sottrarsi all’impresa (ipotesi che egli rigetta nella sua risposta del 23). La seconda locuzione denigratoria, ovvero il paragone con un “cane da pagliaio”, viene anch’essa respinta al mittente dal Prete, accampando una ben più marziale ascendenza canina tra i forti alani.
La metafora del “cane da pagliaio”, per indicare un individuo aggressivo a parole, ma dall’indole pavida e infingarda, sta ormai scivolando in desuetudine, ma il suo impiego è regolarmente censito in varie edizioni del Vocabolario dell’Accademia della Crusca. La sua permanenza nel dialetto astigiano, tuttavia, è stata immortalata in una celebre canzone di Paolo Conte (Sijmadicandhapajiee, letteralmente: “siamo dei cani da pagliaio”), più di 500 anni dopo il duello tra Scaramuccia e Iacopo: uno scontro sul cui esito queste lettere purtroppo tacciono, lasciando la nostra curiosità inappagata.
Archivio di Stato di Milano, Autografi 231, Fabbriche di Armi ed Armature.
Scaramuza de Calabria, havendo ricevuta la tua de XIIII° de questo, data a Pavia, per la quale risponde ala mia de VIIII°, mi pare che si tu et quelli hano scritto per tuo nome ben havessero intexo el scriver mio, non haveresti iudicato chio sia chane da pagliaro, né chio fugia la scolla, perché havendo io facto linvito dhavere afare con ti iustificato dogni raxone, non saria così vile chio volesse desdire quello chio ho dicto, nec etiam retrarmi dal imprexa, ne la quale sono perseverantissimo, né altro desidero che de venire al effecto, sperando in Dio che havendo afare insieme la iustitia debia fare lofficio suo; né mi disfido, immo mi rendo certo che te parirò esser chane allano et non da pagliaro. Et perché et tu et quelli hano scritto per tuo nome possino cognoscere lerrore suo, haveray per copia qui de sotto quanto me hay scritto per le dette tue de 14 de questo, che non sono in cosalcuna aproposito de quanto io te scrissi per le mie de 9, le quale poray rivedere et intenderle meglio. Concludendo io replico che sono contento haver afare con ti acavallo con le nostre arme, et sil Fosso Bergamascho non ti paresse conveniente loco, io mi condurò dove tu voray, che sia loco mezano ale confine del territorio de la Serenissima Signoria de Venexia et del tuo Illustrissimo Signore. Et mandoti questo mio aposta, per lo quale voglieme rispondere de tua intentione; et chome et dove vuoi habiamo afare insieme, certificandoti che si in tempo de octo dì, ricevuta che haveray la presente mia, non mi haveray conclusive risposto, io farò verso ti quello che rechiede el mestieri del arme, et farotene quello honore che merita li pari toi. Nè de questa materia te scriverò più, perché hormai si vogliono fare li effecti et desistere dale parole et dale pratiche. Ex Urgnano, die XXIII februarii 1472.
Iacomo Stefano dicto Prete, famiglio darme del Illustre Bartolomeo Coleone, capitaneo et cetera.
Copia.
Iacomo Stefano dicto Prete, ho intexo quanto per una tua data adi VIIII° del presente tu rispondi ad una mia lettera per la quale haveva acceptato lo invito de combatere con ti ad arme de bataglia, chome rechiede el mestiere nostro, et così io era apparigiato. Ma veduto che non hay voglia de venire al effecto, perché tu scrivi chio debia venire al Fossato Bergamasco apede et che lì debiamo fare ale spadezate et ale zanetate et cetera, dico che essendo mi famiglio darme del Illustrissimo Signore Duca de Milano, el mestier nostro rechiede de far acavallo et non apede, perché io non fui mai fante dapede. Però non mi pare de risponderti altro, et molto mi maraviglio de ti, chessendo mi famiglio darme del prelibato Illustrissimo Signor Duca de Milano et ti homodarme del Magnifico Bartolomeo Coglione, Capitano Generale, debi offerirte de fare apede, et quando tu voray farla apede, io li metterò uno che ti risponderà: et questo non vuol dir altro, salvo che tu fugi la scolla et che sey un can da pagliaro. Ex Papia, die XIIII° februarii 1472.
Scaramuza de Calabria, famiglio darme del Illustrissimo Signore Duca de Milano.
Sul retro:
Sia data in mano de Scaramuza de Calabria, famiglio darme del Illustrissimo Signore Duca de Milano.