Articolo di MARCO VIGNOLA
Pubblicato il 09.07.2019; tutti i diritti riservati.
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Uno dei rischi del riordino archivistico “per materia” imposto a Milano da Luca Peroni tra fine Settecento e primo Ottocento, fu la dispersione di preziose serie documentarie, dalle quali le carte venivano estratte senza alcun rimando alla posizione originale per essere organizzate più comodamente “per materia”.

Se questo principio semplificò la vita ai ricercatori, i quali si trovarono una messe di materiale suddiviso secondo categorie d’interesse, il danno fu evidente quando molte di queste carte, sottratte al registro o alla filza di pertinenza, furono private del loro contesto e della loro data, restando a “galleggiare” in mezzo ad altri documenti della più diversa provenienza.

E’ questo il caso dell’interessante rapporto di servizio redatto da un caposquadra di balestrieri, un certo “Conte de Turpia” nella seconda metà del XV secolo (datazione desumibile paleograficamente), che si sarebbe rivelato ben più prezioso se inserito nel suo giusto contesto, con una precisa collocazione geografica e cronologica ricavata dalle carte vicine.

Anche così, sebbene menomata del suo vincolo archivistico, questa pagina ci regala tuttavia un raro spaccato della vita quotidiana di una guarnigione, fatta anche di piccole beghe ed insubordinazioni. Colpisce, in particolare, una certa disinvoltura dei sottoposti nel disattendere le indicazioni del superiore, anche quando si fosse trattato di semplici suggerimenti di “buonsenso”, come non mettere “soto il culo” una brigantina giocando a carte, rischiando solo di rovinarla inutilmente. Persino un permesso negato poteva finire “a bestemmie”, profuse con una certa creatività non solo contro Dio e la Vergine Maria, ma pure contro una vasta platea di santi.
Alcune frasi risultano non del tutto chiare e sono probabilmente da riferirsi a detti proverbiali (“… se lasorno furare le spade de la guardia… sape fare tagliare apeze…”), ma il documento illustra comunque la riottosità di alcuni soldati e la dubbia autorità di un caposquadra nell’imporre qualche parvenza di disciplina.

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Archivio di Stato di Milano, Autografi 231, fasc. 6.

Per che il vostro fedele il Conte de Turpia, capo di squadra de balastreri, he1 deputato ala guardia de la corte.
Primo, perché haveria comandato a Zorzo de Bayvera che voleva che dormisse in corte et che non andasse adormire fora de la corte, et alora il dicto Georgio comenzò a cridare cum il dicto Conte et per quelo se alomenta deli facti suoi.
Donixio2 de Melegnano tolse zoxo una corazina et la misse soto il culo per iocare ale carte et dicto Conte lo represe che non faceva bene; et il dicto Dionixio gli risposte3 che non lo obederìa.
Maza lo hoste balastrere domando licentia al dicto conte de andare acaxa et luy gli rispose che havesse patientia, che non erano anchora doy dì che il capitaneo era andato via; et luy comenzò ad biastemare Dio et la Verginemaria et quanti sancti trovava et dicto Conte non gli disse altro non ma che non gli potete tanto reprendere, che se lasorno furare le spade de la guardia.
Bernardino balestrero, venendo da Parma, tolse uno axino et sape fare tagliare apeze lo dicto Conte et li conpagni.
Et Georgio Albevexio del la Tacha et il Fra de Papia sono informati dele differentie quale sono facte.

1, 2, 3:  Così nel testo

Nell’alveo della Ricostruzione Storica non di rado gli interrogativi irrisolti superano le certezze acquisite. Più le fonti a nostra disposizione aumentano, tuttavia, più il cono d’ombra si restringe e con esso lo spazio riservato al dubbio.

Il Quattrocento, in particolare, gode di una discreta abbondanza di riferimenti di ogni genere (storiografici, archeologici, archivistici, iconografici) e risulta dunque più facile da “riportare sulla scena” di altre epoche meno ricche di testimonianze.
Anche così, tuttavia, i ricostruttori che affrontino con umiltà il proprio ruolo di “immagine vivente ed originale” del passato, non potranno non sollevare mille dubbi ed incertezze. Risulta dunque importante ricercare sempre e comunque un sostegno scientificamente valido nelle testimonianze più incontestabili, che rappresentino i capisaldi di un’epoca e la collochino in piena luce.

Tra le poche “certezze” ad oggi acquisite, una riguarda senza dubbio il settore delle difese del corpo e più in particolare gli “armamenti corazzati”, ovvero quelle protezioni costituite da lamelle o placche metalliche più o meno grandi, fissate entro un supporto esterno in tessuto o, più raramente, in pelle. Tutte le fonti, infatti, convergono a descrivere questi “giubbotti foderati di metallo” come la difesa più comune per le fanterie italiane del XV secolo. Che nei documenti venissero chiamate “brigantine”, “corazze” o “corazzine”, secondo possibili varianti tipologiche o regionali, in nulla cambia il nocciolo della questione: protezione per antonomasia del fante italiano del tardo medioevo erano proprio gli “armamenti corazzati”, presenti in una moltitudine di inventari ed in una pletora di riferimenti iconografici.

Scopo dell’articolo che segnaliamo in appendice (scaricabile liberamente su Academia.edu), è pertanto quello di dimostrare la ricchezza della tematica degli “armamenti corazzati”, partendo dal caso specifico dei castelli friulani per spaziare a considerazioni di più ampio spettro, onde illustrare la parabola della genesi e del declino di questa specie difensiva così importante negli anni del tardo Medioevo da noi ricostruiti.

Autore: MARCO VIGNOLA (membro “Imago Antiqua”)

Titolo: Armamenti corazzati e archeologia: spunti per uno studio interdisciplinare. Il caso dell’Italia e dei contesti friulani

Collocazione: “Quaderni Cividalesi”, 30, anno 2008, pp. 136-161

Scarica e leggi l’articolo:

https://www.academia.edu/4178268/Armamenti_corazzati_e_archeologia

 

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Replica di brigantina attribuibile all’ultimo quarto del XV secolo
(dotazione personale di Andrea Carloni, membro “IMAGO ANTIQUA”).

Il particolare motivo formato dai ribattini allo scollo e al giro ascelle si ispira ad un esemplare di fattura milanese datato 1480 c., conservato presso il Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra (inv F 31-bis).

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