Articolo di MARCO VIGNOLA
Pubblicato il 22.07.2023; tutti i diritti riservati.

Correva l’anno 1474 quando nella Milano sforzesca fu avviata una riforma che costituì una tappa fondamentale per la storia della monetazione cittadina, ma non solo. Infatti, dopo la recente esperienza della “lira Tron” veneziana del 1472, il grossone milanese da 20 soldi rese “concreta” e coniata la lira, che fino a quel momento era stata soltanto un nominale di conto.

Vennero così alla luce i cosiddetti “testoni”, che ritraevano il duca Galeazzo Maria Sforza con eccezionale livello di dettaglio, alla pari della migliore medaglistica del periodo.

Piero del Pollaiolo, Ritratto di Galeazzo Maria Sforza, Galleria Nazionale degli Uffizi (1471; fonte Wikipedia).

Al dritto di questa grande moneta, oltre alla folta chioma del signore, risaltano l’armatura in piastre (sulla parta alta del suo busto è ben visibile lo spallaccio) e il collo fasciato da un gorzarino di maglia, secondo la prassi militare del periodo. Al rovescio compare invece l’antico blasone visconteo, sormontato dal cimiero ducale con il drago alato e accostato da G3′ – ‘M; con i tizzoni e secchie.
Si tratta, beninteso, di una moneta piuttosto massiccia, con un diametro intorno ai 29 millimetri ed un peso di circa 9,78 grammi al titolo di 962/1000, molto elevato per l’epoca, la quale, oltre a celebrare il duca quasi comparandolo alle gloriose figure della Roma imperiale, testimonia egregiamente il dinamismo economico raggiunto dall’Italia nel secondo Quattrocento.

Dritto e rovescio di un testone da 20 soldi di Galeazzo Maria Sforza (1474-1476; collezione privata e foto dell’autore).

Sempre in ambito milanese, la versione più leggera e sottile del testone, del valore di 10 soldi, condivideva il tipo del ritratto ducale con la “sorella maggiore”, ma al rovescio mostrava lo stemma sforzesco affiancato dalle iniziali del duca.

Dritto e rovescio di un mezzo testone da 10 soldi di Galeazzo Maria Sforza (1474-1476; collezione privata e foto dell’autore).

Non è questo il luogo per dibattere circa l’opinione di alcuni studiosi che videro in tali monete lo spartiacque tra monetazione medievale e moderna: tuttavia, l’esperienza milanese fece sicuramente scuola e a breve volgere seguirono Ferrara, il ducato di Savoia e molte altre signorie minori.

Per quanto le monete giacciano perlopiù nascoste nel fondo delle scarselle e dunque non appaiano in scenari ricostruttivi con la stessa evidenza di abiti, armamenti, suppellettile etc., è comunque indiscutibile che anche questi piccoli dischetti metallici possano aggiungere una tessera al più variegato mosaico della rappresentazione del passato. A ben guardare, erano a tutti gli effetti parte integrante della vita quotidiana e plastico riflesso del governo che le aveva prodotte, oltre a preziosi manufatti che dal Rinascimento assorbirono il gusto artistico, tramandandolo fino a noi grazie alla serialità della coniazione.

Dischiudere la scarsella per mostrare al pubblico monete rappresentative dell’epoca ricostruita, può dunque rappresentare uno step ulteriore nella divulgazione storica, specialmente in contesti museali o dove l’interazione col pubblico sia più lunga e ravvicinata, come nei mercati.

Ricostruzioni di monete del tardo XV secolo, impiegate negli eventi didattici di IMAGO ANTIQUA

Per una recente sintesi sulla zecca di Milano, si consiglia la pubblicazione relativa alle monete del medagliere di Vittorio Emanuele III (Bollettino di Numismatica, 43), disponibile on-line QUI