Il 18 dicembre 1476 Agostino Spinola eseguì l’ispezione di una nave appartenente a Nicola “de Nigrono” e capitanata da un certo Alaono, onde verificarne l’adeguato equipaggiamento. Come infatti già attestato dal trecentesco “Liber Gazarie”, era prassi nella Genova tardo-medievale che ai patroni delle navi s’imponesse un standard minimo di armamento, per dissuadere da eventuali atti di pirateria e garantire la sicurezza di uomini e merci.
I verbali superstiti di queste monstre ci schiudono pertanto un mondo variegato di equipaggi, armi e attrezzature, consegnando dei momenti “congelati nel tempo” e svelando dettagli estremamente interessanti sulla vita marittima. In prima battuta, tra le figure specializzate che vediamo imbarcate, oltre all’immancabile scriba, compaiono una serie di professionisti destinati alla manutenzione della nave (un calafato, un maestro d’ascia e un tornitore), oltre a un bottaio e a un “balestrarius”: termine probabilmente impiegato per designare non un comune balestriere, ma una figura deputata alla manutenzione delle balestre, visto che sulla nave ne risultavano imbarcate 40 tra quelle a tornio e a girella.
Tre erano invece i bombardieri addetti alla gestione di 21 bocche da fuoco (numero decisamente elevato, data l’epoca) e probabilmente del tipo “a mascolo”, visto che a loro erano destinati ben 69 “canoni” [1], con una media di oltre tre per ciascuna bocca. Fatto interessante, due di questi bombardieri, Robertus de Anglia e Giraldus de Alamania, palesavano nel loro stesso nome una provenienza estera molto esplicita, a segnalare la forte mobilità di queste figure professionali.
Bombarda del 1450 c. e bombardella del 1410 c. conservate presso il Musée de l’Armèe – Les Invalides, Parigi; foto Andrea Carloni (2006)
In tutto si contavano 78 uomini stipendiati, suddivisi in 22 specialisti, 23 marinai generici, 29 famuli e 4 “scannagalli” (termine quest’ultimo che in antico designava i mozzi), oltre a 10 imbarcati senza paga; probabilmente semplici passeggeri.
La dotazione di armamenti individuali, comunque, includeva 40 coiracie (ovvero, brigantine) e 46 celate, oltre a cinque dozzine di “lance lunghe” (evidentemente picche), a due dozzine di partigiane, 5 dardi e 12 “targhette”; munizione sufficiente a proteggere poco più della metà dell’equipaggio e ad armarne la totalità, rendendo la nave capitanata da Alaono una sorta di “fortezza galleggiante”.
Non risulta ben chiaro il senso delle “falde” e il concetto di “nave infaldata”, ma forse qui il termine potrebbe designare delle protezioni mobili da impiegarsi contro le armi da lancio, visto che l’utilizzo bellico sarebbe confortato dalla loro inserzione tra gli armamenta. Altrettanto poco chiare sono le thore da ponte (tavole da ponte), pure incluse tra gli armamenti e forse impiegate per abbordare eventuali navi avversarie.
Sebbene non strettamente legato all’arsenale di bordo, si è scelto di trascrivere in appendice anche l’elenco del sartiame, il quale indirettamente ci descrive una forma a più alberi, con vela maestra, mezzana e trinchetto, forse identificabile come una caracca: ovvero, un grande nave da carico che poteva essere fortemente armata, già impiegata dai Genovesi nel Quattrocento in commerci a lunga distanza.
Parte del documento originale oggetto del presente articolo
Archivio di Stato di Genova, Antico Comune, Diversorum 3057.
Dotazione di bordo:
Armamenta: bombarde viginti unam sive pec(ii) [2] XXI con canonis LXVIIII pulveris baril(e) VII grosse plene balistri de turno et zurela i(n) s(umma) [3]XXXX, zurele viginti et torni quatuor veretonorum de zirela et turno capsias viginti cracie quadraginta sex celate quadraginta fade pecii XII et ultra tota nave infaldata tarchete pecii duodecim, sive X[…] lamse longe duodene quinque, sive partexane duodene duoi, sive dardara a numero V thore da ponte pecii septuaginta.
Sartia: agumene octo nove agumene quatuor de brachiis XVI in plus agumene VIII basse proeiexi, caveti et alia filia ad sufi[…] anchore sex grosse et una pa Magistra una con boneta nova et aliis duabus bonetis Mezana et trincheto novo contra mezana, velum gabie ciu[…] et multe alie vele similes.
[1] Il lemma qui indicava quasi certamente una camera da scoppio amovibile. [2] Scioglimento incerto [3] Scioglimento incerto
La consuetudine di sospendere alla cintura piccoli coltelli racchiusi in foderi di pelle, solitamente stampigliati o incisi,risulta ampiamente attestata in tutta l’iconografia bassomedievale e ben oltre i limiti del XV secolo. Le dimensioni delle loro lame non sono in genere condizione sufficiente per ascriverli alla categoria delle “armi”, ma piuttosto tra gli utensili di uso comune. Si trattava, in estrema sintesi, di oggetti dalla funzione squisitamente pratica e civile, sottolineata da un tagliente in genere troppo ridotto per un impiego in campo bellico.
GIACOMINO DA IVREA, ciclo affrescato nel 1441; Cappella di S. Michele (Verrayes, fraz. Marseiller, AO) – copyright A. Carloni (2021)
ANDREA DELITIO, “Fuga in Egitto” (dett.), 1470-1480c; Coro dei Canonici c/o Cattedrale di S. Maria Assunta (Atri, TE) – copyright A. Carloni (2013)
Approcciandosi ad una descrizione tipologica delle lame di coltello, come succede per molti attrezzi di impiego quotidiano, bisogna tuttavia premettere il forte conservatorismo delle forme funzionali, che si possono mantenere quasi intatte per secoli e secoli, complicando o vanificando qualsiasi sforzo d’inquadramento troppo stretto. A livello descrittivo, tuttavia, è comunque possibile individuare almeno tre grandi “famiglie”, tutte attestabili nel nostro periodo di riferimento, sebbene con diverso profilo di rarità: serramanico, a codolo stretto, a codolo largo.
Lama di coltello a serramanico rinvenuta presso gli scavi del Castello di Attimis (UD), XIV secolo
La prima di queste era caratterizzata da una lama (solitamente di dimensioni contenute) terminante in una linguetta collocata vicino al perno ove ruotava dentro al manico, a sua volta realizzato in materiale organico o talvolta in metallo. Tale linguetta, secondo un un impiego ancora attuale nei rasoi, aveva la funzione di facilitare l’estrazione del tagliente e mantenerlo in posizione, senza l’ausilio di molle o meccanismi d’arresto. Ritrovamenti di coltelli a serramanico di ogni genere sono relativamente sporadici in contesti bassomedievali, in rapporto a quelli a lama fissa. Su un campione di ben 310 reperti individuati in scavi londinesi, per esempio, solo due sono a serramanico; situazione analoga a Rougiers, nel sud della Francia, dove questa tipologia risultava minoritaria. Restando in ambito italiano, alcuni esemplari figurano in repertori friulani (come Attimis e il Castello della Motta) e in altri contesti quali Castel Pietra a Gavorrano (GR)e Tremona, nel Canton Ticino. Per quanto poco comuni, dunque, i serramanico dovevano essere sufficientemente diffusi e declinati in una rosa di forme difficilmente inquadrabili in una precisa area geografica o in un arco di tempo troppo ristretto, trattandosi d’una tipologia già documentata almeno dall’Alto Medioevo.
Coltello originale con manico in legno, tipologia “a codolo stretto”; prov. Inghilterra, 1480-1520 c. (collezione privata)
La seconda famiglia, certamente più comune della precedente, è quindi costituita dai tipi “a codolo stretto”, ove la lama terminava in un sottile prolungamento a “chiodo” inserito dentro a un manico di vario materiale e qui ribattuto. Dall’età romana tale forma risulta pressoché esclusiva in contesti nazionali insieme ai serramanico almeno fino al XIII secolo, quando ad essa cominciarono ad affiancarsi i tipi “a codolo largo”, come dimostrato in maniera non equivoca dagli scavi di Castelfranco Emilia (MO). Analogamente a moltissimi coltelli odierni, due guanciole erano qui fissate alla superficie spianata del codolo tramite una serie di ribattini passanti, col risultato di un insieme decisamente più robusto rispetto alle tipologie a codolo stretto, sempre più rare col progredire del Trecento e ormai residuali nella seconda metà del Quattrocento.
Coltello originale con manico in legno, tipologia “a codolo largo”; prov. Inghilterra, 1480-1520 c. (collezione privata)
L’uso di trattenere le guanciole del manico tramite rivetti è in ogni caso corroborato nel Duecento anche per via iconografica: nelle scene di battaglia affrescate sulle pareti del Palazzo Comunale di San Gimignano, infatti, compaiono già alcune basilarde dotate di un manico a guanciole rivettate tra il 1288 ed il 1292, segnando un prezioso termine iconografico ante quem per questa soluzione tecnica. Anche nel contesto ticinese di Tremona, manufatti di questo genere si attestano già in ambiti di XIII secolo, rafforzando l’idea di una transizione tipologica molto graduale a partire dal secondo Duecento.
Coltello originale con manico in osso, tipologia “a codolo largo”; prov. Inghilterra, 1480-1520 c. (collezione privata)
Tornando allo specifico della seconda metà del Quattrocento, i coltelli appartenenti a quest’ultima famiglia risultano decisamente i più documentati a livello iconografico ed archeologico, con una declinazione di varianti strepitosamente ampia. A livello strutturale si osservano tuttavia alcune costanti che attraversano tutto il nostro periodo di riferimento. In prima battuta, il codolo sul dorso viene quasi sempre a rastremarsi verso l’estremità del manico: espediente utile a ridurne il peso, spostando il bilanciamento della lama verso la punta. Un baricentro più avanzato, infatti, rendeva meno soggetto al ribaltamento un coltello appeso alla cintura, minimizzando (insieme a foderi conformati per accogliere la parte del manico più prossima alla lama) il rischio di smarrimento accidentale.
Un’altra caratteristica tecnica pressochè invariata nei coltelli della nostra epoca si localizza nel punto di passaggio tra guanciole e lama, il quale poteva essere lasciato franco da decorazioni oppure arricchito da elementi in lega di rame diversamente sagomati, ma comunque sempre rivettati al corpo del coltello. In taluni casi, la transizione poteva essere segnalata da una lamina metallica (quasi sempre ottone, più di rado argento) che sovente veniva interposta tra guanciole e codolo, qui semplicemente ripiegata verso l’alto a rifasciare l’estremità delle guanciole stesse.
Coltellinaio al lavoro; “Mendelschen Hausbuch”, Amb. 317.2° Folio 95 verso, Mendel I, 1476 (fonte: www.hausbuecher.nuernberg.de)
Col volgere del Quattrocento e il principio del Cinquecento, tuttavia, gli antichi coltellinai iniziarono a realizzare un ringrosso alla base del codolo, finendo per sostituire le vecchie applicazioni con un nodo (spesso modanato) forgiato in un sol pezzo nel corpo del coltello: nasceva così una forma “moderna” che nel Cinquecento avrebbe rapidamente conosciuto una vasta fortuna, soppiantando le precedenti. La varietà tipologica estrema di queste soluzioni permise una vastissima gamma di forme e decori, legati a specifiche funzioni, aree geografiche, prezzo e gusti individuali: una galassia che proveremo ad esplorare (anche solo in minima parte) nel prossimo contributo legato al mondo della coltelleria.
Il banco del coltellinaio nel mercato storico-didattico di IMAGO ANTIQUA – copyright U. Fedenco (2023)
Bibliografia sintetica
BELLI M. 2002, I reperti metallici provenienti dallo scavo di Castel di Pietra: studio preliminare dei contesti e presentazione della tipologia morfologica, inC. Citter(a cura di), Castel di Pietra (Gavorrano – GR): relazione preliminare della campagna 2001 e revisione dei dati precedenti, “Archeologia Medievale”, XXIX, Firenze, pp. 165-167.
COWGILL J. – DE NEERGAARD M. – GRIFFITHS N. 1987, Medieval finds from excavations in London: 1. Knives and scabbards, Woodbridge.
DEMIANS D’ARCHIMBAUD G. 1980, Le fouilles de Rougiers (Var). Contribution à l’archéologie de l’habitat rural médiéval en pays méditerranéens, Paris.
DU HEAUME G. 2020, The Queenhithe Collection, “Journal of the Antique Metalware Society“, 25, Suffolk.
LIBRENTI M. – ZANARINI M. 1998, Archeologia e storia di un Borgo Nuovo bolognese: Castelfranco Emilia (MO), in Archeologia in Emilia Occidentale. Ricerche e studi, a cura di S. Gelichi, Mantova, pp. 79-113.
MARTINELLI A. 2008, I reperti metallici, in Tremona Castello. Dal V millennio a.C. al XIII sec. d.C., a cura di A. Martinelli, Firenze, pp. 272-311.
PIUZZI F. 2003 (a cura di), Lo scavo del Castello della Motta (Povoletto), Firenze.
VIGNOLA M. 2003, I reperti metallici del Castello Superiore di Attimis, “Quaderni Friulani di Archeologia”, XIII, Udine, pp. 63-81.
Museo della Città “Luigi Tonini” Sala conferenze c/o Ala Nuova (3° piano) Via L. Tonini, 1 – 47921 Rimini
Evento organizzato dall’Associazione Culturale IMAGO ANTIQUA, con il patrocinio del Comune di Rimini.
Diversi generi letterari per sondare, sotto diversi profili, un’epoca incompresa, verso la quale la modernità è profondamente debitrice sul piano artigianale, artistico, politico e tanti altri. Alcuni degli autori che si avvicenderanno nella presentazione delle proprie opere sono praticanti della “Living History” (Storia Vivente), attività fondante del sodalizio promotore dell’iniziativa.
Programma
ANDREA CARLONI Presidente Imago Antiqua: Introduzione
EUGENIO LAROSA Biografia: Roberto Sanseverino. Condottiero del Rinascimento italiano tra arte militare e politica (Ed. Chillemi)
MARCO VIGNOLA Saggio: Armature e armorari nella Milano medievale (Ed. Dell’Orso)
MARCO SASSI Collana: Living History (Ed. Bookstones)
ORESTE DELUCCA Proposta editoriale: Mestieri e botteghe riminesi del Quattrocento
Per informazioni: info@imagoantiqua.it ; 349 1456380 (Segretario)
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